Mancano meno di 100 giorni all’appuntamento elettorale che siglerà la fine della presidenza Trump o un secondo mandato, ma
l’America che si recherà alle urne il prossimo novembre non è baldanzosa: è sofferente per le oltre 153mila vittime del Covid e per i suoi 5milioni e mezzo di contagiati.
È spaventata dalla recessione economica: è dal 1947 che il Pil non perdeva cifre oltre il 30%, come è accaduto giovedì. È divisa, non solo da un presidente nel giorno in cui il Paese e tre ex presidenti tributavano il suo omaggio, a John Lewis, icona dei diritti civili e braccio destro di Martin Luther King, minacciava di rimandare le elezioni perché il Covid ne avrebbe messo a rischio la validità e la correttezza.
È tragicamente separata anche dal reddito con poveri sempre più poveri e ricchi ancor più, dalla discriminazione razziale che ha incendiato e continua ad accendere tante città dopo la morte di George Floyd, dalle fedi che si schierano e selezionano i candidati in base alle loro agende e non a quelle necessarie al Paese.
La divisione persiste al Congresso dove repubblicani e democratici non hanno trovato un accordo per varare il nuovo pacchetto di aiuti all’economia e preservare i 600 dollari di sussidi di disoccupazione per chi ha perso il lavoro, scaduti proprio il 31 luglio. Eppure
c’è anche un’altra America, quella silenziosa e attiva, lo scheletro più forte del Paese, fatta ancora una volta da chi si rimbocca le maniche per Dio e per gli uomini.
Come accaduto nella diocesi di a Louisville che pensato al progetto “Ripensare l’occupazione: New-Age Branding”, a sostegno di disoccupati, sottoccupati e di chi cerca nuove opportunità. Il servizio ha un team di consulenti specializzati in diversi settori che aiutano le persone a ripensarsi dopo la pandemia e organizza seminari periodici su curriculum, networking, personal branding, interviste di lavoro, gestione delle finanze durante i periodi di disoccupazione e franchising. A Portland, invece sono state le madri ad imporsi sul clima di violenza in cui sono sfociate le proteste per chiedere giustizia razziale nel nome di George Floyd, l’afro-americano morto mentre era in custodia della polizia. Molte di loro sono state sollecitate proprio dalle ultime parole di Floyd che ha invocato la madre mentre moriva soffocato dal ginocchio di un’agente bianco. E così hanno indossato tutte magliette gialle. In testa i caschi dei ciclisti e in mano ombrelli e girasoli in plastica, la loro arma di difesa. Dopo si sono date appuntamento alle 21 nella zona della corte federale di Portland, dove da oltre 60 giorni manifesta per chiedere la fine del razzismo sistemico, e si sono offerte come scudo ai manifestanti contro agenti federali e di polizia che non hanno esitato ad usare gas lacrimogeni e pallottole al pepe per disperdere le manifestazioni. Ma loro sono rimaste e ora si diffondono a macchia d’olio in varie città Usa. La pandemia ha isolato per mesi nelle case di riposo e in altre strutture migliaia di anziani. Anche la nonna di Corey Cappelloni, 98 anni, è rimasta contagiata dal Covid, rischiando non solo la morte, ma una depressione per la solitudine. Così Corey ha ideato “Una corsa per Ruth” e ha percorso 218 miglia, da Washington a Scranton in Pennsylvania dove risiedeva l’anziana parente. Nella sua corsa di 7 giorni, il maratoneta ha raccolto 25mila dollari per comprare smartphone e tablet agli anziani per sconfiggere la loro solitudine e il loro isolamento e comunicare con i propri cari. Ci sono stati momenti difficili, durante il percorso, ma in uno di questi, Corey ha ricevuto una telefonata per comunicare che Ruth si era ripresa dal Covid e questa notizia ha ridato slancio all’ultimissima parte della corsa. Anche la sua corsa, come il muro delle mamme e il progetto diocesano alla disoccupazione sono quella parte di America che sa fare la differenza e sa ancora unire.