At 12,1-11; 2Tm 4,6-8.17-18 ; Mt 16,13-19
Siamo a Cesarea di Filippo, nell’estremo Nord, in zona pagana, il punto più lontano da Gerusalemme. Qui Gesù chiede ai discepoli, con umiltà, “chi sono io per voi?”. Gesù non è in crisi di identità, vuole portare i discepoli dentro il suo mistero. È la risposta a questa domanda, infatti, che fa nascere il discepolo. Siamo al tornante decisivo del Vangelo di Matteo: Pietro a nome degli altri riconosce Gesù come il Cristo Messia; di più: come il Figlio di Dio. È la professione di fede cristiana, Gesù è il massimo della rivelazione di Dio poiché ne è Figlio. E Pietro, proprio per questa fede, diviene la “pietra” per fare la Chiesa come casa dei figli di Dio.
Gesù fa il primo annuncio della sua morte e resurrezione. Per la prima volta parla della croce, che è scandalo per tutti, anche per Pietro che, in certo senso si mette davanti a Gesù per cambiarne la direzione. Ma Gesù deve andare a Gerusalemme perché lì, con le sue ferite, guarirà le nostre. Per questo Gesù rimprovera Pietro e gli ordina di rimettersi al suo posto, ossia dietro a lui. Questo è il vero senso del rimprovero a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Anche il primato di Pietro si spiega e si modella su quello del Signore che è venuto per servire e dare la vita. Certo, Pietro è il primo, nel servizio, nella fede e nell’amore.
Così Pietro è origine di comunione e di unità. La Chiesa è edificata dal Signore su questa pietra. Anch’essa, come Pietro, può presentarsi inadeguata al mistero che porta dentro e dinanzi all’immenso lavoro che Dio le assegna. Se Dio si consegna alla piccolezza e alla fragilità dell’uomo è perché la fede è riposta in Lui. La Chiesa è un dono di Dio. In umiltà e pace essa accoglie tutti i limiti dell’umanità, ma l’inferno non vincerà mai contro questa roccia che, come diceva in un bellissimo commento Origene, ricorda quella “pietra” spirituale che accompagnava e dissetava il popolo di Dio nel suo cammino nel deserto verso la Terra Promessa.
Si chiude l’Anno Paolino, straordinario per la grazia della riscoperta in tanti di questo apostolo singolare, senza alcun dubbio il più grande missionario della storia della Chiesa. Alla fine della sua vita, dopo viaggi e peripezie, fu condotto a Roma, dove fu lasciato solo dai discepoli, alcuni erano lontani ad evangelizzare nuovi popoli, qualcun altro aveva lasciato la fede di Cristo; i cristiani di Roma terrorizzati dalla persecuzione, lo avevano abbandonato o quasi, solo Luca era con lui. Paolo presagiva ormai la fine e lanciò un commovente appello a Timoteo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele… Cerca di venire presto da me perché Dema mi ha abbandonato… Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero…”.
Il tribunale romano lo condannò a morte perché cristiano; fu decapitato un 29 giugno di un anno imprecisato, forse il 67, essendo cittadino romano gli fu risparmiata la crocifissione; la sentenza ebbe luogo in una località detta “palude Salvia”, presso Roma (poi detta Tre Fontane, nome derivato dai tre zampilli sgorgati quando la testa mozzata rimbalzò tre volte a terra); i cristiani raccolsero il suo corpo seppellendolo sulla via Ostiense, dove poi è sorta la basilica di San Paolo fuori le Mura. Il 29 giugno 258, sotto l’imperatore Valeriano, le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano; quasi un secolo dopo, papa s. Silvestro I fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura dove sorge l’attuale basilica.
Angelo Sceppacerca