“Nei mesi di marzo e aprile il 51 per cento delle imprese ha usufruito della Cig-Covid per quasi il 40 per cento dei dipendenti del settore privato”. È quanto emerge dalla nota “Le imprese e i lavoratori in cassa integrazione Covid nei mesi di marzo e aprile”, curata da ricercatori della Banca d’Italia e dell’Inps e diffusa oggi.
“Tra le imprese più piccole, che hanno utilizzato prevalentemente la Cig-Covid in deroga, l’importo medio risparmiato grazie alla riduzione dell’orario di lavoro è stato pari a 3.900 euro nel bimestre” mentre “le imprese più grandi del settore dei servizi, che hanno fruito dell’assegno ordinario Covid hanno risparmiato in media quasi 24.000 euro; le imprese della manifattura, che ricorrono prevalentemente alla Cig ordinaria Covid circa 21.000 euro”. “Ogni impresa in Cig-Covid – viene spiegato – ha risparmiato circa 1.100 euro per ogni dipendente presente in azienda (a prescindere dall’incidenza dei lavoratori in Cig)”.
Stando ai dati diffusi, in media ogni individuo in Cig-Covid ha subito una riduzione oraria di 156 ore, il 90% per cento dell’orario mensile di lavoro a tempo pieno (pari a 173 ore in marzo e aprile). Secondo nostre stime basate sulle informazioni attualmente disponibili, in media ogni lavoratore ha perso il 27,3% del proprio reddito lordo mensile.
L’utilizzo della Cig-Covid è più elevato nei settori con una dinamica più sfavorevole dell’attività in seguito allo scoppio della pandemia; nella manifattura l’uso dell’ammortizzatore è fortemente correlato con i cambiamenti nella dinamica della produzione industriale indotti dalla crisi. Anche in settori in cui i livelli produttivi o il fatturato non sono diminuiti rispetto al periodo precedente la pandemia, l’utilizzo della Cig-Covid ha coinvolto una quota significativa di imprese (circa il 20% nella manifattura e il 30%nei servizi).
Considerata la distribuzione territoriale, la quota di imprese che hanno fatto ricorso alla Cig-Covid è pari al 45% nel Nord-Est, al 48% nel Nord-Ovest, al 52% nel Centro e al 55% per cento nel Mezzogiorno. “Buona parte delle differenze tra macroaree – si legge nella nota – è spiegata da eterogeneità nelle caratteristiche delle imprese, in modo particolare il settore di attività, relativamente più sbilanciato nel Mezzogiorno a favore dei settori dell’alloggio e della ristorazione, delle costruzioni e del commercio al dettaglio non alimentare, che maggiormente hanno subito le conseguenze della crisi”.