Deuteronomio 7,6-11; 1Giovanni 4,7-16; Matteo 11,25-30
Dopo la minaccia (i versi che precedono, con quel duro “guai a voi!”) viene la benedizione, l’abbraccio: anche i piccoli partecipano dell’amore ineffabile che scorre tra il Padre e il Figlio. Gesù è la porta di comunicazione fra gli uomini e il Creatore, la scala che porta il cielo sulla terra. Qui la rivelazione si fa inaudita: Dio non solo è padre, ma è addirittura il “papà” tenerissimo. Siamo al cuore del cristianesimo e solo lo Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, ci rende audaci nel pronunciare quel nome: “Abbà!” che dice il massimo della vicinanza e della confidenza di un Dio che resta altissimo e onnipotente.
Per cogliere qualcosa del mistero di Dio i santi e i mistici hanno indicato la via dell’opposizione: Dio è vicino e altissimo, tenero e onnipotente, piccolo e grande, madre e padre, misericordioso e giusto. La nostra sapienza, più presuntuosa che efficace, tace. Se per il comune modo di pensare i piccoli sono ignoranti e incapaci persino di parlare, per Gesù sono proprio essi ad ereditare la Parola: “Abbà”. Come essere o tornare ad essere “piccoli”? Con la purezza del cuore. Solo ad essa Dio non sa resistere.
Dopo la dura condanna per Corazim, Betsaida e Cafarnao, le città che non hanno riconosciuto e accettato Gesù, questa pagina è tutta un inno di benedizione, una vera danza gioiosa! Siamo all’apice del Vangelo perché ci dice che l’amore tra il Padre e il Figlio l’abisso del mistero trinitario! è partecipato ai piccoli. I “sapienti” cercano un dio come loro e non lo trovano, oppure si costruiscono maschere deformanti della divinità. I piccoli, invece, sanno dove trovare Dio: nell’umanità di Gesù, che è mite ed umile di cuore.
Una vignetta con disegnato Gesù accovacciato e nascosto dietro a uno scoglio. Davanti a lui due bambini che lo avevano scoperto, ai quali il Signore intima con il dito alle labbra di fare silenzio. Intanto molti teologi e sapienti lo stanno cercando. In tutte le direzioni, meno in quella dove Egli si trova. Il commento è facile: “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.
Gesù rafforza questa sua dichiarazione: “Sì, Padre”. Rafforzando, svela ulteriormente il volto di Dio. L’ebraico Abbà corrisponde al nostro appellativo Papà. Il Vangelo è vertiginoso e tenero.
Se questa è la proposta di Dio (essere suoi figli nel Figlio) allora occorre anche la nostra risposta: la responsabilità di vivere questo dono. Prima ci è detto cosa siamo, ora cosa dobbiamo fare. E dobbiamo andare a Gesù, tutti noi (anche quelli di Corazim, Betsaida e Cafarnao!) così come siamo, affaticati e oppressi, per imparare da lui e come lui portare il dolce giogo della mitezza e dell’umiltà. Tutti, infatti, siamo affaticati e oppressi, fisicamente e nello spirito. Il Signore ci attende per il riposo, che è la fine della fatica, il compimento della creazione. Ma è Dio stesso il vero riposo, la casa dove tornare dopo la fuga e la disperazione. Se c’è un giogo, un peso cui sottoporsi, sappiamo che questo è leggero perché l’amore non è un peso, ma una liberazione. L’umiltà, dinanzi a Dio, è il rovesciamento della condizione dello schiavo, perché dice una qualità dell’amore: è l’amore che è umile. Dio è umile.
I greci disprezzavano l’umiltà, non la consideravano una virtù. Più o meno come la dominante cultura odierna. Per il cristianesimo, invece è la qualità fondamentale di Dio: l’amore è umile. Anche la pace sta nella via della mitezza e dell’umiltà.
Mite e umile è colui che sceglie il bene e attende da Dio la ricompensa. La mitezza è attesa fiduciosa della promessa di Dio. Tornano in mente le immagini tante volte viste delle lunghe file dei profughi dalle mille guerre: poveri curvi sotto il carico delle misere cose rimaste o seduti a terra a raccogliere un boccone di riso tra un nugolo di mosche. Attendono una risposta. Dove sono i miti di Dio?
Angelo Sceppacerca