“La recessione del 2011-2014 ha determinato una selezione tra le imprese di minore dimensione, con un conseguente aumento del ruolo di quelle più grandi; la successiva ripresa non ha ricostituito la base produttiva persa. Nel 2017, il sistema appare altrettanto frammentato sul piano dimensionale, ma mediamente più interconnesso rispetto al 2011, in particolare per i settori dei servizi”. Questa la fotografia offerta dal Rapporto annuale 2020 dell’Istat, presentato oggi a Roma, a Montecitorio.
Guardando al 2020, “le imprese rimaste attive nel corso del lockdown appartengono soprattutto a comparti che trasmettono gli impulsi su scala estesa, ma lentamente. Il ritorno ai livelli pre-crisi potrebbe richiedere tempi piuttosto lunghi anche alla luce delle stime sugli effetti inter-settoriali delle misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero”, precisa il Rapporto.
Nel 2018 “il sistema produttivo mostra un rafforzamento della sostenibilità economico-finanziaria; durante il lockdown oltre un terzo del fatturato non realizzato nei comparti ‘chiusi’ della manifattura sarebbe stato generato da unità ‘in salute’ dal punto di vista finanziario e circa la metà da imprese ‘fragili’”.
Secondo l’Istat, “l’autofinanziamento continua a rappresentare la principale fonte di reperimento delle risorse delle imprese. La crisi di liquidità del 2020 potrebbe incidere fortemente sull’operatività qualora l’accesso a risorse esterne non fosse agevole”. Si stima che “a fine aprile quasi due terzi delle circa 800mila società di capitale italiane avessero liquidità sufficiente a operare almeno fino a fine 2020 mentre oltre un terzo sarebbe risultato illiquido o in condizioni di liquidità precarie”.