Atti 15,1-2.22-29; Apocalisse 21,10-14.22-23; Giovanni 14,23-29 Trovare un sinonimo di Pasqua può apparire azzardato e improprio. Ma il Vangelo della sesta domenica di Pasqua sfronda ogni timore. Dimorare: quel saper essere e fare casa con Cristo risorto. Ma andando più in profondità si prende coscienza che dimorare va oltre il significato come luogo. Dimorare come uno stile duraturo da assumere più che un atteggiamento momentaneo da tenere. È la grande sfida della Pasqua. Quando la persona amata non è più presente in carne e ossa la fede chiede il salto della maturità. È quel salto che permette all’uomo di venire allo scoperto, alla luce, di uscire da se stesso e divenire persona relazionante. Dimorare, perciò, significa sapersi mettere in cammino, in ricerca di ciò che è autentico, uscendo dalle proprie parziali e limitate espressioni di linguaggio e impressioni di mente. È il nuovo che avanza e chiede ospitalità, accoglienza. Dimorare come disposizione a farsi nuovamente discepoli di quel maestro che è lo Spirito Santo. “Egli vi insegnerà ogni cosa”: così l’evangelista Giovanni, con le parole di Gesù, evidenzia il mandato e la missione del Risorto dopo la Pasqua. Gesù chiama lo Spirito Santo il Consolatore. Consolare è la presenza di Dio nella vita dell’uomo quale verbo che indica certezza e sicurezza. Il suo esatto contrario è la desolazione, ovvero, la presenza del nemico direbbe S.Ignazio di Loyola, quel nemico che è il male contrario all’amico, il bene. Consolare, pertanto, è tutt’altro che quella mano sulla spalla quasi a confortare chi sta male o è depresso. La consolazione è da chiedere e domandare per mezzo dello Spirito Santo. Quello stesso Spirito invocato da Gesù nei momenti più significativi della sua esistenza terrena viene indicato come riferimento a cui rivolgersi. Affidarsi allo Spirito Santo implica un lasciar fare all’operare di Dio. Questo è vero per ogni singola giornata. Invocare al mattino lo Spirito Santo per “sintonizzarsi” con la volontà del Padre, sapendo leggere e vedere in ogni incontro e persona il passaggio di Dio. Spiegare e raccontare chi e che cosa sia lo Spirito Santo non è semplice e immediato. La simbologia biblica presenta diversi segni per rappresentarlo tra i quali il fuoco, la colomba, il vento. Buona cosa può essere iniziare un incontro di catechesi pregando con le parole d’invocazione allo Spirito Santo: “Manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato”. Espressioni di sintesi che vanno spiegate, spezzettate. Già ogni espressione può divenire tema per un incontro. Aiutare le persone a prendere coscienza che la presenza dello Spirito Santo è nelle pieghe delle proprie quotidiane attività è un servizio che va reso. Se si è troppo attratti da ciò che si fa e distratti da mille attività si può perdere il senso e il perché di ogni cosa. Lo Spirito Santo precisa l’evangelista insegnerà ogni cosa, ovvero, aiuterà ad andare in profondità e vivere in modo serio la propria esistenza, bandendo ogni forma di superficialità e pressappochismo. Ecco perché, uno dei primi frutti che si generano quando ci si apre all’azione dello Spirito Santo è la pace. La pace interiore non è la serenità. La pace è la stabilità di se stessi, della propria personalità. Una pace che predispone a entrare in relazione con Dio, per mezzo del Figlio e con l’azione dello Spirito. Giacomo Ruggeri