Atti 5,27-32.40-41; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21,1-19
Perché Gesù avrà chiesto a Simon Pietro se lo amava più degli altri discepoli? Perché questo metterlo a confronto con gli altri? Gesù non cerca la differenza o lo scarto di maggioranza e minoranza tra lui e gli altri del gruppo, ma vuol far emergere nell’interiorità di Simon Pietro la differenza tra due sponde: cosa significhi seguire Gesù e cosa significhi amarlo. Nel tassello della terza domenica del tempo di Pasqua la pennellata evangelica dal tratto giovanneo non arriva a caso ed ha una sua logica tra il prima e il dopo della Pasqua. A parte la figura di Giuda Iscariota i volti e le persone sono sempre le stesse. Ma Gesù è risorto: il suo corpo non è più riconoscibile nemmeno dai suoi amici più intimi e vicini, i discepoli. In questo non essere riconosciuto Gesù gioca l’intera scena cercando di portare i discepoli a conoscerlo in un modo nuovo e a sapersi conoscere in un rinnovato stile. Gesù interroga Simon Pietro chiamandolo “Simone di Giovanni”. Lo chiama con il nome di suo padre. Quella di Gesù è una precisa pedagogia nel portare il “Simone di Giovanni” a divenire “Pietro”, roccia. Se da un lato Pietro continua a svolgere il suo lavoro di pescatore, Gesù dall’altro continua a fare il suo di “mestiere”: cercare e amare perennemente l’uomo. Pietro riprende in mano le reti di sempre, amiche e nemiche nella sua lunga giornata assieme agli altri soci pescatori. Anche Gesù riprende in mano le relazioni là dove le aveva lasciate: nell’orto degli ulivi, mentre lui pregava i discepoli si erano addormentati. Vanno a pescare con gli occhi chiusi e appesantiti da sfiducia e scoraggiamento; di fronte all’amare il Cristo sino alla fine sulla croce sono scappati rifugiandosi in loro stessi. Per tale motivo non presero nulla quella notte. È la notte del quando oscuriamo Dio per accendere la fioca luce della nostra persona egocentrica. È la notte della presunzione di essere e agire nel giusto non senza calpestare chi ci è accanto. È la notte dell’illusione che per amare il Signore era sufficiente seguirlo e stargli vicino. Se la fede è per contagio l’amore è per trasfusione: c’è un corpo da dare, donare, spezzare. La vita della parrocchia è questa grande vena che riceve il sangue non per sua bravura, per puro dono. Lo stile di progettare la pastorale di una diocesi e delle singole comunità va ricercato, purificato e filtrato nella vena della relazione con Cristo che pulsa con il sangue della Parola, dei sacramenti, della vita spesa per gli altri. La stessa catechesi, in questa ottica, rischia di essere dissanguata dal radicamento dell’annuncio del Vangelo finalizzato al sacramento più che alla vita cristiana. La catechesi in Italia sta vivendo la stessa notte di Simon Pietro e soci che non presero nulla in quanto fatica ad offrire senso per la globalità della vita del bambino, adolescente e giovane. La vena è puro canale che veicola il sangue in tutto il corpo: il cristiano è questa vena che nel corso della storia permette che la vita raggiunga tutto e tutti. Quando egli pretende di essere cuore o sangue scende la notte, non si pesca nulla, si tradisce. E dal tradimento, quale vena otturata, il Signore risorto riprende il rapporto con Simon Pietro, ripartendo dal nome di suo padre. Ai bordi di quel mare si compie l’Eucaristia. Ogni giorno ai margini della giornata ci attende un pane che nutre il cuore. Prima della Pasqua Gesù aveva indicato se stesso come pane da mangiare nella totale incomprensione dei discepoli. Quel pesce cotto da Gesù è l’uomo salvato dal mare del peccato e della paura che si trasforma in donazione totale. Ecco perché Gesù dice a Simon Pietro: “Segui me”. Perché finché seguirà se stesso sarà quella vena che nel tempo si inaridisce perché staccata dal cuore; sarà una lunga notte di non pesca perché è il mare del non abbandono e fiducia. Ma da quei bordi del mare di Tiberiade Gesù il Risorto ha scelto nuovamente Simone di Giovanni per renderlo il Pietro della storia. Continua a scegliere l’uomo perché sia quel “di più” che cambia la storia. La sua e del mondo. Giacomo Ruggeri