III di Quaresima – 11 marzo

Esodo 3,1-8.13-15; 1Corinzi 10,1-6.10-12; Luca 13,1-9 Perire non è l’esito finale del fato, ma una scelta che l’uomo decide di darsi. Convertirsi implica cambiare direzione al viaggio e non limitarsi a portare degli aggiustamenti di percorso. Nel cammino quaresimale la Chiesa-Madre continua a scuotere i suoi uomini-figli consapevole che in un costante richiamo alla salvezza eterna è possibile prenderne coscienza nel quotidiano. Il tono usato da Gesù nel tredicesimo capitolo di Luca può apparire, ad una lettura in superficiale, minaccioso. Ma non è così. È come un padre che parla ai suoi figli: è uno scuoterli per svegliarli, perché prendano coscienza del loro modo di vivere. E la parabola del fico sterile è orientata proprio verso tale direzione. Dio continuamente cerca frutti nella vita dei suoi figli e creature predilette, gli uomini. “Cercare frutti” vuol dire che è insito nell’uomo il seme della fecondità, dell’abbondanza, della bellezza. Tutto dipende dalle scelte che l’uomo compie perché il portare è sì un dono di Dio ma con la responsabilità dell’uomo. Esso, per sua natura, cerca frutti immediati con la minor spesa e fatica. Questo atteggiamento, a volte, può verificarsi anche in ambito pastorale: ma chi vive con passione e tenacia il servizio in parrocchia sa bene che con ogni fascia d’età ci vuole costanza, fatica, sacrificio e tempi lunghi. Eccellente, dunque, l’espressione del vignaiolo: “Lascialo ancora un anno”. I tempi nostri sono chiamati a ritrovarsi in quelli di Dio, i nostri passi in quelli del Padre. Presi dalla velocità delle giornate e delle tante cose da fare, ci perdiamo per strada la sapienza, l’intelligenza di leggere dentro la storia. In quel “lascialo” c’è un amore forte e misericordioso, quasi volesse dire: amalo ancora, non smettere di volergli bene. Quando le cose della vita non vanno secondo i piani dell’uomo sopraggiunge la tentazione di “tagliarlo”; ma il messaggio di questa terza domenica di Quaresima è un altro: camminare con l’uomo e stare al suo passo è quanto di più difficile possa esserci, perché nell’era dell’individualismo saper condividere è tutt’altro che facile. Si pensi al lavoro con e per i giovani e alle occasioni che si sono presentate nel dire basta con quel giovane, con quel gruppo: “Taglialo”. Ed invece no. Lascialo. Lascia cadere la tentazione di tirare i remi in barca e credere che il frutto di un certo modo di fare pastorale sia solo opera tua; lascia cadere una visione di Chiesa che nasce dalla propria mente senza invece considerare una storia di millenni segnata da gioie e fatiche; lascia cadere la paura del disfattismo e dell’individualismo sterile. Allora? “Zappagli attorno e metti il concime”: ripensa la pastorale con l’occhio della storia e la mano dell’attualità; rivediti in una visione di Chiesa famiglia che per essere tale ha bisogno anche di te; rimettiti ogni giorno nelle mani della Provvidenza perché quel zappare attorno implica il riconoscere le fragilità con l’ottica dell’amore e il concime come il necessario nutrimento, fuori da noi stessi. La vita cristiana è un continuo: “Lascialo, zappagli attorno, metti il concime”. È quanto mai liberante sentirsi e sapersi operai che non posseggono, ma servono; che credono alla forza del concime gettato, più che al raccolto ottenuto. Le nostre comunità cristiane, in modo particolare nelle relazioni tra loro, hanno più che mai bisogno di donarsi concime reciprocamente, gettare giù steccati perché si zappi ovunque. La Chiesa in Italia sia quella voce costante che dice: “Lascialo”, un investire sulla responsabilità personale, dinamismo di ogni vita comunitaria.

Giacomo Ruggeri