Barca, fiamma, sottosuolo, guerra (dei poeti), unzione, finestra, pandemia come metafora. Sono le sette immagini utilizzate dal Papa nei suoi interventi in questo tempo di Covid-19 “per articolare il suo discorso per l’oggi e in vista del domani”. A raccoglierle è p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, nell’ultimo quaderno della rivista in uscita sabato. “Così – osserva – Papa Francesco ha dipinto una situazione senza precedenti”. Spadaro richiama anzitutto l’affresco tracciato dal Papa la sera del 27 marzo, in una piazza San Pietro completamente vuota, luogo di un’adorazione eucaristica e di una benedizione Urbi et Orbi accompagnate solamente dal suono delle campane, misto a quello delle ambulanze, quando Francesco ha fatto notare con parole potenti: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”. Ma il Papa, sottolinea il direttore de La Civiltà Cattolica, ha anche detto che “proprio questo tempo segnato dalla crisi, legata alla pandemia da Covid-19, è un ‘tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci’”. Di qui le sette immagini “raccolte” dal gesuita, “tessere che compongono il mosaico di un immaginario del possibile che, da una parte, metta in guardia e, dall’altra, incoraggi: ‘La fede ci permette una realistica e creativa immaginazione, capace di abbandonare la logica della ripetizione, della sostituzione o della conservazione’ e ci spinge a ‘non avere paura di affrontare la realtà’”. Francesco “ha valorizzato un tempo d’attesa” per fare da “specchio” a un mondo in crisi, l’analisi di Spadaro. “E per far questo ha dovuto leggere il caos. Alla fine, però, lo specchio è il Vangelo stesso”. Il compito per la Chiesa, conclude il gesuita, è quello che il Papa “aveva già indicato nell’intervista a La Civiltà Cattolica del 2013: essere ‘ospedale da campo’, curare e guarire le ferite dell’umanità”. Tra “riconoscimento della vulnerabilità globale” e “immaginazione propria del realismo evangelico”.