“In questi giorni sembra tornare in auge, in alcuni Paesi nel mondo, una forma di nazionalismo religioso-culturale. La religione viene così usata sia per fini di consenso personale sia per lanciare un messaggio politico solo apparentemente patriottico”. Ad analizzare il fenomeno è Joseph Lobo, direttore del Centro ricerche del St. Joseph’s College a Bangalore (India), nel quaderno 4080 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato. L’autore si sofferma sulla capacità del nazionalismo di strumentalizzare le religioni e spiega che solo una risposta profondamente religiosa, teologicamente fondata ma popolare e non elitaria, può contrastare e decostruire questa distorsione della religione: “Una risposta teologica fondata al nazionalismo è una risposta di fede”. Di qui una citazione di Papa Francesco: “Le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé” di fronte a chi, “chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente”. Per Lobo, il nazionalismo religioso-culturale è un discorso “pubblico” proposto come panacea dei problemi reali della vita quotidiana e fondato sull’idea che “le persone di una certa nazione abbiano in comune l’identità, l’origine, la storia, con un’omogeneità ideologica, culturale e religiosa, rinsaldata dai confini geopolitici”. In realtà, nell’odierno mondo globalizzato nessuna “nazione” ha al suo interno una sola identità omogenea sotto il profilo linguistico o religioso. Un nazionalismo in senso stretto è possibile solo se “esso elimina questa diversità” e fa coincidere l’impegno per la nazione con la fede religiosa, riducendo la religione a un’ideologia nazionalista, ma da qui “all’idolatria il passo è breve”.