“In una vicenda in cui siamo ancora dentro come il Covid, in cui la pastorale è stata sconvolta, come Chiesa dobbiamo avere schiettezza e coraggio di ascolto e discernimento su ferite e vissuto delle persone”: sono le premesse di don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei, che questo pomeriggio ha partecipato a un dibattito online su “Convivere con il Covid–19: salute e pastorale. Le prospettive della Chiesa Italiana” promosso dall’Ufficio di Pastorale della salute della diocesi di Porto-Santa Rufina. Alla sollecitazione del diacono Michele Sardella, responsabile dell’Ufficio diocesano, sul fatto che “durante la convivenza con il Covid si è passati da una pastorale attiva a una di attenzione”, don Angelelli ha risposto proponendo di “sostituire un apparato pastorale programmatico e ricostruire un tessuto umano fraterno”. L’esperienza di questi mesi dovrebbe suscitare una riflessione su temi eticamente sensibili: “La prima vittima del Covid è l’eutanasia: quando stavano male, tutti pretendevano giustamente cure – osserva don Angelelli –. La figura retorica dell’eutanasia si è rivelata una brutta costruzione mediatica e ideologica. D’altra parte, le cure palliative non ci sono state. Sono mancate le risorse: un’istanza etica su cui lavorare”. Ancora sul piano pastorale, le proposte di don Angelelli possono sintetizzarsi così: “Rimettere gli anziani al centro della pastorale e creare una rete relazionale solida con i giovani; formare i bambini all’esperienza del dolore e della morte; investire nella preparazione degli operatori della pastorale della salute, che tanto si sono spesi in questo tempo; dare una risposta comunitaria alle famiglie ferite”.