Isaia 60,1-6; Efesini 3,2-3.5-6; Matteo 2,1-12 Nato Gesù al tempo del re Erode. È un tempo ben preciso, segnato da momenti e movimenti che incidono la storia con l’agire dell’uomo. Ma la nascita di Gesù è sì storica, ma la si può e la si deve considerare carica di futuro. All’inizio di questo nuovo anno la liturgia della Parola ci pone subito sulla strada del cammino alla ricerca del Cristo, Re dei Giudei. Lungo questo anno saremo accompagnati dalle pagine intense dell’evangelista medico, ovvero San Luca, autore anche del libro degli Atti degli Apostoli; con lui e tramite lui si farà la scoperta non solo di Gesù di Nazareth, ma del volto di Dio Padre sempre ricco di stupore e denso di novità. Questo capitolo 2 di Matteo chiede anche a noi di ricercare nel profondo della nostra esistenza le radici profonde del credere, del vivere, dell’agire e di ogni altra attività. Si potrebbe dire che ogni ricerca ha diverse partenze e altrettanti approdi. Anche nella vita personale si sarà fatta l’esperienza dei Magi, di Erode, di Maria e Giuseppe. Volti diversi con mete e motivazioni alquanto divergenti. L’insegnamento che l’evangelista Matteo desidera offrirci si orienta in diverse direzioni. La prima direzione ci viene data dalla diversità di ricerca di Gesù da parte dei Magi e di Erode: i primi si mettono in cammino anche con il corpo; il re rimane trincerato nella sicurezza del suo palazzo. La maturità della vita e della fede cristiana è segnata dai passi concreti che ogni persona è chiamata a compiere. Quante volte abbiamo rimandato delle scelte, delegato delle azioni, aggirato degli ostacoli che invece richiedevano la nostra presenza e presa di responsabilità? I Magi, guidati da una stella posta in alto, smettono di cercare quando trovano la risposta della loro ricerca proprio in basso, a partire dalla terra. Mentre Erode chiede ai Magi di effettuare la ricerca per lui, questi scelgono di porre i loro piedi nella strada. La vita della Chiesa Italiana è caratterizzata proprio dalla presenza itinerante che è la parrocchia. Facciamo in modo di rendere itinerante la parrocchia grazie alle scelte concrete e di qualità di chi la vive e la condivide in prima persona. L’attività pastorale, sia a livello diocesano che a livello parrocchiale faccia la scelta preferenziale dei Magi, ovvero, di quello stile di ricercare Dio a partire dall’uomo e ritrovare l’uomo ritornando a Dio. Non è un cerchio che si chiude ma un circolo vizioso che si apre a 360°. La seconda indicazione ci viene offerta dal verbo adorare, sostituto purtroppo dal verbo idolatrare, ovvero, avvinghiare la propria vita ad un idolo a ciò che toglie la vita invece che donarla. L’adorazione è il gesto più intimo della fede cristiana, perché è costituito dalla sosta e dal silenzio. Sostare è un arte non una possibilità per fermarsi. Sostare è una scelta non una occasione fortuita da cogliere al volo. I monasteri di vita contemplativa come lo scandire del tempo nella vita dei monaci sono un forte segno dell’invito a sostare, a fermarsi, per adorare, quindi, lasciarsi amare nel profondo. Ma non ci si accontenti e non ci si senta tranquilli nel sapere che vi sono questi luoghi, perché è là dove viviamo che la sosta deve ergersi come prioritaria su tutto e tutti. Di certo avrete fatto l’esperienza del dolore e della malattia. Tale realtà è una sosta forzata, non richiesta. L’adorare dei Magi ci indica la priorità per salvaguardare la sanità della fede in Cristo. Senza adorazione che chiede di fermarsi, ogni passo risulterà pesante e incerto. Si, perché nell’adorare dei Magi vi è la condivisione della vita: “Siamo venuti per adorarlo”. A Cristo si arriva per tante strade e con disposizioni interiori diverse, ma il fine è unico per tutti: sapersi e vivere da figli di Dio Padre. Se il cristianesimo generasse figli unici, sarebbe il segno della perdita della stella verso la grotta di Betlemme. La famiglia dove si vive, il lavoro dove si opera, la scuola dove si insegna e impara diventino luoghi di adorazione, di amore. Giacomo Ruggeri