Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38 Questa festa in onore della Madre di Dio celebra il suo concepimento immacolato. La Vergine fu esente dal peccato originale e da ogni altra colpa, per accogliere nel suo grembo il Figlio di Dio. Il Padre ha preparato per il Figlio una dimora degna e senza macchia. Quando l’angelo Gabriele entra nella casa di Maria, la saluta con le parole “Ave, piena di grazia”, un nome nuovo, che viene direttamente dal cielo. Da questa divina definizione, la Chiesa deduce la pienezza di grazia che, in Maria, significa l’esenzione da ogni colpa, anche quella originale. Non c’è in lei nessuna macchia di peccato, poiché Dio ha voluto preparare per il Figlio una “nuova creatura”. È la prima volta che nella storia, dopo Adamo, si compie questo prodigio. Una verità di fede che Pio IX ha dichiarato nel 1854 e che, quattro anni dopo, la Vergine stessa parve confermare con le sue apparizioni a Bernadette, nella grotta di Massabielle, dicendo: “Io sono l’Immacolata Concezione”. La pienezza di grazia in Maria significa il singolare privilegio di cui Dio l’ha insignita, unica tra tutte le donne, perché il frutto del suo seno fosse benedetto. Da quel giorno tutti possiamo guardare alla Madre di Dio come la vetta eccelsa che sovrasta ogni creatura, come l’ ideale di chi si pone in cammino, sulla via della santità. L’incontro con l’angelo è descritto da Luca come un naturale turbamento da parte della Vergine. Ma l’angelo la rassicura con le parole: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù”. La notizia era strepitosa. Come avrebbe potuto partorire se era vergine? L’angelo dirà poi che “nulla è impossibile a Dio”. Quando il Signore entra nella nostra vita, non dobbiamo mai spaventarci. Non temere, dice anche a noi, poiché i suoi interventi sono sempre per il nostro bene. Egli ci chiede, talvolta, anche un contributo di impegno e di sofferenza. Non sempre i nostri progetti coincidono con quelli di Dio, che dispone altre cose per noi. Eppure è sempre lui ad avere ragione. “Le mie vie non sono le vostre vie – dice il Signore -. I miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Anche Maria è sorpresa e chiede qualche spiegazione, non perché dubiti, ma per meglio comprendere quanto il Signore vuole da lei, mettendo la sua vita a sua totale disposizione. Non dobbiamo temere nella nostra vita neppure i momenti del dolore, quelli che noi chiamiamo delle disgrazie. Non sappiamo quanto Dio voglia arricchirci anche in quei momenti, unendoci alla passione del suo Figlio. La totale docilità di Maria alla volontà che viene dall’alto, è espressa nelle sue parole: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Sono le parole che ripetiamo nella recita dell’Angelus, le parole che segnano, per sempre, il programma dell’Immacolata. Maria non terrà nulla per sé. La sua vita seguirà come un’ombra quella di suo Figlio, sino alla croce e alla risurrezione. Una vita di dedizione e di servizio. In questo, soprattutto, è di esempio per noi, se vogliano vivere le parole che pronunciamo: “Sia fatta la tua volontà”. Il compimento del nostro dovere dovrebbe essere sempre concepito come un servizio. E Gesù aggiunge: dopo che avrete fatto ciò che vi è richiesto dite “siamo servi senza pretese”. Dobbiamo essere grati a Dio se ci chiede di diventare suoi collaboratori per la costruzione del Regno di Dio, come ha chiesto a sua Madre. La Chiesa ha rinnovato a tutti, anche ai laici, questo invito. Nel recente Convegno di Verona siamo stati chiamati ad essere “testimoni di speranza nel Cristo risorto”. Una chiamata che attende da noi una risposta, libera e generosa. Alle parole dette a quel Convegno, ora attendiamo che seguono i fatti. Che non soltanto le persone, ma anche le Comunità si pongano al lavoro per la nuova evangelizzazione. La nostra fragilità non dovrà essere di ostacolo all’impegno, ricordando appunto che “nulla è impossibile a Dio”. E noi lavoriamo per Lui. Carlo Caviglione