Domenica 29 ottobre

Geremia 31,7-9; Ebrei 5,1-6; Marco 10,46-52 Siamo in presenza oggi di una crisi di fede che è anche crisi della ragione. Abbiamo bisogno di vedere per credere. Per questo i cristiani, come è stato detto a Verona, devono essere oggi testimoni della speranza nel Cristo risorto. Figlio di Davide. A Gerico un cieco che stava per la strada a mendicare, viene informato che sta passando Gesù Nazareno. Inizia, allora, a gridare: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Nessuno poteva sospettare tanta conoscenza biblica nel povero cieco, che si appella a Gesù come “Figlio di Davide”. Con questo nome i profeti avevano annunciato la venuta del Messia, colui il quale avrebbe ricevuto da Dio l’unzione (il Cristo) come sacerdote, re e profeta, il salvatore del suo popolo Israele.

Il cieco si riferisce a questa prerogativa di Gesù per chiedere la guarigione. E in realtà il Figlio di Dio era atteso come salvatore. Lo chiamerai Gesù, aveva detto l’angelo in sogno a Giuseppe, poiché salverà il popolo dai suoi peccati. È questa la missione che “il figlio di Davide” doveva compiere secondo la volontà del Padre, la stessa missione che Gesù ha affidato alla sua Chiesa, chiamata a essere nel tempo e nella storia portatrice di salvezza, continuando proprio a salvare il mondo dai suoi non pochi peccati. Coraggio, alzati. Dopo tanto gridare, nonostante la folla contraria, Gesù fece chiamare il cieco: “Coraggio, alzati”. Avrebbe anche potuto guarirlo lasciandolo seduto, ma il cieco “buttato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. È il primo passo verso la guarigione. È stato detto che Dio è sceso da noi facendo tutti i gradini della scala, ma ci chiede di fare noi almeno un gradino per incontrarci con lui. È necessaria la nostra risposta libera per giungere alla fede.

Dio non ci costringe, così come ha ricordato il Papa, nessuna religione può essere violenta e costringere qualcuno a credere. Deve essere prima rispettata la ragione, senza la quale non si può neppure giungere alla fede. Quando si parla di “fede cieca”, si usa una definizione molto discutibile, poiché nulla è più luminoso e illuminato della fede, che completa e non annulla le conquiste della ragione. Per questo motivo, il Signore anche per la fede chiede la nostra collaborazione. Ci chiede di accettare il suo dono liberamente, come scelta della nostra volontà. Prese a seguirlo. La supplica accorata del cieco consegue due effetti: la guarigione e la sequela. La prima di ordine fisico. La seconda spirituale. “Gesù gli disse: che vuoi che io ti faccia? E il cieco a lui: rabbunì, che io abbia la vista. E Gesù gli disse: la tua fede ti ha salvato. E subito acquistò la vista e prese a seguirlo per la strada”. La fede gli ha procurato la guarigione, poiché ha creduto nella potenza divina di Gesù. Soltanto lui poteva compiere il miracolo e il cieco ha riposto questa sua fiducia nella divinità.

Non si è limitato, però, a ricevere un dono inestimabile, ha voluto anche lui restituire qualcosa, prendendo a seguire Gesù per la strada. La sequela, infatti, è la prerogativa del discepolo che vuol seguire l’insegnamento del maestro e fare la sua stessa strada, il cammino che porterà Gesù sino al Calvario, un cammino di contrasti e di sofferenza. Il discepolo non può illudersi di avere una sorte diversa. “Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”. Gesù non ha fatto sconti, né possiamo chiederne, se vogliamo essere suoi veri discepoli.

Carlo Caviglione