Domenica 8 ottobre

Genesi 2,18-24; Ebrei 2,9-11; Marco 10,2-16 Sulla natura del matrimonio le discussioni non finiscono mai. C’erano già al tempo di Gesù e il Vangelo ci riferisce appunto di una discussione in merito. Da allora le cose non sono molto cambiate e oggi il dibattito è ancora aperto. Una legge antica. La domanda che viene fatta a Gesù riguarda la legittimità del divorzio. In quali casi è lecito mandare via la moglie e sposare un’altra. Gesù risponde “mai”, perché così Dio ha stabilito fin da principio. “Li creò maschio e femmina e i due saranno una carne sola. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito”.

Siamo in presenza di una legge divina che fu “sin dal principio”, anche se Dio consentì a Israele qualche eccezione “per la durezza del loro cuore”. Ma con la venuta di Gesù e il compiersi della sua rivelazione, le cose vengono rimesse in ordine, secondo il primo progetto di Dio. Un progetto che ha delle regole e dà la forza di “lasciare il padre e la madre” per costituire la nuova coppia nel matrimonio. Questo poi dovrà essere inscindibile, in linea di principio, anche se vi potranno essere delle difficoltà da superare. Commette adulterio. Marito e moglie, essendo diventati “una sola carne” non devono più separarsi. La separazione segna la morte di una realtà viva, inscindibile. È la morte della coppia. Oggi si assiste quasi passivamente a questa tragedia, dando per scontato che si possa, tranquillamente rescindere “ciò che Dio ha unito”. Al progetto di Dio viene a sostituirsi quello dell’uomo e i danni da lui arrecati sono sotto gli occhi di tutti.

Il dramma delle coppie separate e, peggio, se risposate, è sotto gli occhi di tutti. Si assiste a liti, a processi e, quando vi sono dei figli la situazione diventa molto più grave. La statistica dice che il caso più frequente di morte tra i giovani dai 14 ai 25 anni è il suicidio. Non pochi di loro si trovano, dolorosamente, tra i figli dei coniugi separati o divorziati, poiché è venuto spesso a mancare l’affetto di una famiglia, la guida amorosa e attenta dei genitori. Contro il progetto di Dio, quello dell’uomo deve dichiarare fallimento. Come un bambino. Alla disputa sul matrimonio, segue una scena tenerissima: Gesù prende tra le sue braccia un bambino e si indigna con i suoi discepoli, perché sgridano i fanciulli che vengono da lui. E dice: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, poiché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Essere o diventare come i bambini diventa dunque una condizione per la nostra salvezza eterna, l’appartenenza al Regno di Dio.

Farsi come bambini non significa essere bambineschi, tutt’altro. Gesù ci chiede di imitare i bambini per la loro semplicità e spontaneità, ma soprattutto per la fiducia incondizionata che hanno verso i loro genitori. Il Signore, che è nostro Padre, chiede a noi adulti di avere la stessa fiducia verso di lui, di affidarci senza riserve alla sua volontà, poiché – come i genitori – egli agisce sempre per il nostro vero bene. È questo che vuole da noi: che ci abbandoniamo come bambini nelle sue braccia amorose.

Carlo Caviglione