Vescovi svizzeri riuniti per la prima volta dopo mesi di lockdown nell’abbazia di Einsiedeln dall’8 al 10 giugno per l’assemblea plenaria. Tre giorni di incontro che si sono svolti in una sala sufficientemente spaziosa per consentire il rispetto delle misure di distanziamento e protezione. I vescovi – che alla Madonna di Einsiedeln hanno affidato il popolo svizzero e il futuro del Paese dopo mesi di “insicurezza e paura” – hanno potuto confrontarsi su come le comunità cattoliche hanno vissuto questi mesi di quarantena e soprattutto l’impossibilità di recarsi fisicamente in chiesa per la celebrazione dei culti religiosi. In una prima fase della crisi – si legge in un comunicato diffuso oggi dalla Conferenza episcopale svizzera (Ces) – le misure restrittive decise dalle istituzioni di governo sono state “particolarmente esigenti” e “talvolta anche causa di tensione” in quanto non tutti hanno accolto queste raccomandazioni nella stessa maniera e “le reazioni sono state differenti a seconda della virulenza del Covid-19 nelle regioni”. Grande successo invece hanno avuto in questo periodo di lockdown le numerose trasmissioni di messe e preghiere via Internet, radio e tv. Secondo una stima della Conferenza episcopale svizzera, le persone che sono entrate in contatto con queste reti erano molto più numerose di quelle che abitualmente frequentano la chiesa. “Alcune persone che non vanno in chiesa hanno testimoniato di aver scoperto un modo per pregare attraverso questi canali”. La pastorale dei malati è stata e rimane una sfida particolare: in molti luoghi il numero degli operatori pastorali è stato temporaneamente aumentato. Il governo elvetico ha poi dato il via libera alle celebrazioni pubbliche delle messe a partire dal 28 maggio e le diocesi hanno dimostrato di essere in grado di garantire ovunque le regole di sicurezze previste dal piano quadro di protezione della Ces.