Domenica 16 luglio

Amos 7,12-15; Efesini 1,3-14; Marco 6;7-13 Ci si chiede spesso quale sia il compito primario della Chiesa nel mondo, quale la sua missione. Nel Vangelo abbiamo la risposta: Gesù manda per la prima volta i suoi discepoli, a due a due, per predicare la conversione e per guarire le malattie. Solo un bastone. Nel mandare i dodici apostoli in missione, Gesù ordina loro che “oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche”. Dunque, solo l’indispensabile, e una povertà assoluta. Si trattava di scegliere uno stile di vita, che non si affidava alle risorse economiche, ma confidava unicamente nell’ordine del Mandante.

Uno stile di povertà, che Gesù aveva scelto per sé, per essere di esempio ai suoi discepoli. Dirà, infatti, che il Figlio dell’uomo non ha una pietra dove posare il capo. È quello che Gesù chiede ai primi missionari e, quindi, alla Chiesa. Non sarà la ricchezza a rendere più efficace la sua missione nel mondo. Si è potuto constatare nei secoli passati che una Chiesa ricca ha reso meno efficace la sua missione, spesso guastata da nepotismo e da corruzione. Ciò non significa che la Chiesa non abbia bisogno, anche oggi, di beni materiali per vivere e per evangelizzare. Sono utili, ma non indispensabili e, soprattutto, non devono mai offuscare la natura spirituale della sua missione. Entrare in casa. Allo stile della povertà si aggiunge quello della visita nelle case. Così avviene la prima predicazione. Gesù parla anche nelle sinagoghe e sulle piazze, ma ai suoi discepoli ordina prima di “entrare nelle case”, là dove vive la gente, dove si riunisce la famiglia. È quella che oggi si potrebbe chiamare “una pastorale di ambiente”. Non aspettare, cioè, che la gente venga in chiesa, ma andarla a cercare là dove si trova.

Non solo in casa, ma anche in altri luoghi di vita e di lavoro. Ci sono già dei bravi sacerdoti che non si limitano a educare i ragazzi dell’oratorio, ma vanno a incontrare i giovani nelle discoteche. Per lo stesso motivo, abbiamo avuto negli anni da poco passati i “preti operai”, che non si distinguevano dagli altri lavoratori, ma erano in mezzo a loro per una testimonianza di condivisione. Oggi non è facile per un parroco di città visitare tutte le famiglie del suo territorio. Potrà farsi però aiutare da un diacono o da altri collaboratori, purché non si trascuri questo contatto diretto e personale con le famiglie. Convertire e guarire. Sono due operazioni che entrambe comportano un cambiamento di vita, dal peccato alla grazia, dalla malattia alla salute. La prima è una situazione che riguarda la vita spirituale, il nostro rapporto con Dio. I Dodici avevano ricevuto il compito di “predicare la conversione”, poiché vana sarebbe la predicazione se non raggiungesse il suo scopo, quello appunto di portare alla conversione, a un radicale cambiamento di mentalità e di vita.

Quanto al guarire, Gesù non intende fare dei suoi discepoli dei medici o degli infermieri, ma vuole che essi siano attenti anche ai bisogni fisici o materiali di quanti incontreranno sul loro cammino. E la salute è, dopo quelli spirituali, un bene primario, quello di cui si era occupato il buon samaritano. La Chiesa, oltre che predicare il Vangelo, dovrà sempre esercitare la carità verso tutti i bisognosi. La sua storia, infatti, è segnata dalle opere di carità: asili, ospedali, scuole, ambulatori, lebbrosari, ospizi. Queste opere sono una catena di amore e di carità, che in molti santuari come a Lourdes, trovano conferma e testimonianza.

Carlo Caviglione