II domenica di Pasqua – 23 aprile

Atti 4,32-35; 1Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31 Gli apostoli, privi della presenza di Gesù, rinchiusi nel Cenacolo, sono ancora smarriti e confusi. Ma nasce presto una comunità di credenti che, nel segno dell’amore, mettono i loro beni in comune, superando ogni forma di povertà. “Pace a voi”: sono le prime parole di Gesù, come attesta Giovanni, tornando risorto in mezzo ai suoi. Un saluto che è rimasto nella Messa dei vescovi, i quali introducono ogni loro celebrazione con le stesse parole “pace a voi”. La pace, primo frutto della risurrezione. Di fatto, Gesù era salito in croce per distruggere ogni elemento di discordia e di divisione tra gli uomini. Non aveva forse insegnato che “Dio non fa differenze” e che ama tutti gli uomini senza distinzione? Poi San Paolo insegnerà che non vi sono più né ebrei né greci, né schiavi né liberi, né uomo né donna, per indicare la pari dignità di tutti davanti a Dio. Non vi è altro solido fondamento alla pace, che tutti desideriamo. Non vi potrà essere pace vera nel mondo, sino a che una legge può condannare un uomo a morte perché si è convertito, sino a che non sarà rispettata la libertà di tutti, di religione e di opinione. Per assicurarci la pace dobbiamo rispettare i diritti di ciascuno e la libertà di tutti. Alla prima venuta del Risorto in mezzo ai suoi, non era presente Tommaso. Informato di quanto era accaduto, l’apostolo non volle credere alle parole dei discepoli. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. L’apostolo è diventato così quasi il simbolo di coloro che hanno difficoltà a credere, hanno dei dubbi, pongono delle riserve. D’altra parte è difficile credere a ciò che non si vede, tanto che Pietro elogia nella sua lettera quei cristiani che “pur non avendo visto Gesù, gli hanno creduto”. Al tempo stesso la fede è dono e una difficile conquista. L’errore di Tommaso è stato quello di non aver creduto a testimoni credibili e autorevoli, quali erano i suoi amici. Che motivi potevano avere per ingannarlo e costruire una menzogna? Tale è il fondamento della nostra fede. Nessuno di noi vede o ha visto il Risorto, ma crediamo a quei testimoni veritieri che, dopo la risurrezione, l’hanno visto e hanno mangiato con lui. Otto giorni dopo, venne di nuovo Gesù tra i suoi e questa volta c’era anche Tommaso. Chiamò a se il discepolo incredulo, invitandolo a mettere il dito nel foro dei chiodi e a “non essere mai più incredulo, ma credente”. Al contrario di quanto si vede nell’iconografia tradizionale, Tommaso non mise mai le sue mani sulle piaghe, ma rispose soltanto con una professione di fede: “Mio Signore e mio Dio”, provocando le parole di Gesù, una nuova beatitudine per noi credenti. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto hai creduto; beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. Ed è proprio la natura stessa della nostra fede, che non si basa sull’aver visto qualcuno o qualcosa, ma nell’aver accolto e creduto alla testimonianza degli apostoli e dei loro successori. Questa è la fede della Chiesa. Nonostante mille ostacoli, ha attraversato i secoli, perché fondata sulla verità detta dagli apostoli e dalla forza del loro martirio.

Carlo Caviglione