Isaia 52,13-53,12; Ebrei 4,14-16; 5,7-9; Giovanni 18,1-19,42 Il Venerdì Santo non è giorno di lutto né di pianto, ma è amorosa contemplazione del sacrificio redentore, da cui è scaturita la nostra salvezza. Il segno esterno di partecipazione è il digiuno e l’astinenza e, nelle chiese, l’adorazione della croce. Giuda, il traditore: è il primo personaggio che Giovanni presenta nel suo racconto della passione. Giuda, uno dei dodici, che Gesù stesso aveva scelto tra i suoi apostoli. Egli sino all’ultimo lo chiama amico e dice: “Con un bacio tu mi tradisci”. Da quel giorno, nessun genitore cristiano imporrà al figlio, nel battesimo, il nome del traditore. L’apostolo che vende il suo maestro e lo tradisce diventa così il più ignobile dei personaggi, superando persino il rinnegamento di Pietro, che poi si pente “amaramente”.
Nella vicenda della passione è tutto un susseguirsi di personaggi che danno il meglio o il peggio di sé. Di fronte a Cristo che viene condannato innocente si aprono gli abissi del male e gli orizzonti del bene. Come Cristo aveva profetizzato: “Quando sarò elevato da terra, trarrò tutti a me”. Dall’alto della croce, Egli giudica il mondo. Chi non crede è già condannato, ma chi crede in lui avrà la vita eterna e sarà salvato nell’ultimo giorno. Pilato, il vigliacco: “Io non trovo in lui nessuna colpa”. Sono state le parole con le quali Pilato consegnò Gesù nelle mani dei suoi avversari, perché fosse crocifisso. Non era la prima volta che un giudice iniquo condannava, scientemente, un innocente e non sarebbe stata l’ultima nella storia. Anche la folla, aizzata, gridava “non vogliamo libero costui, ma Barabba”.
Barabba era un ladro. La condanna di Gesù fu anche causata dalla paura nei confronti della folla che, tra l’altro, “non sapeva quello che faceva”. Da parte sua, Pilato in quella situazione, diventava inconsapevolmente strumento di una Volontà superiore. Aveva già presentato Gesù alla folla con le parole “Ecco l’uomo”, davvero l’uomo vero, l’uomo giusto, l’unico innocente. Poi detterà le parole da mettere sulla croce.
“Questi è Gesù, nazareno, re dei giudei”. Scribi e farisei non vogliono quella sentenza, ma il procuratore non torna indietro, e dichiara una verità. Davvero quel crocifisso è un re e non soltanto dei giudei. Una frese profetica, detta da un pagano. Ecco tua madre: dei quattro evangelisti, Giovanni è l’unico a riferirci un breve dialogo di Gesù sulla croce. Il Crocifisso allora “vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”. Il dialogo è particolarmente toccante. Un nuovo incarico per il discepolo, la dichiarazione di una più vasta maternità per Maria.
Secondo la tradizione cristiana, Giovanni era sotto la croce il rappresentante di tutti i credenti, mentre a Maria veniva assegnato un compito: quello di essere madre di quanti seguono il Crocifisso. E, in realtà, quante volte nella storia questa Madre celeste non è intervenuta in nostro favore. E quanti cristiani, nei suoi mille santuari, non si affidano a lei, come figli devoti e bisognosi? Gesù dice anche a noi, dalla croce: “Ecco vostra madre”. Non ci ha lasciati orfani, ma accompagnati e protetti dalla sua stessa Madre, che noi salutiamo ogni giorno piena di grazia e madre di misericordia.
Carlo Caviglione