Domenica 12 marzo

Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18; Romani 8,31-34; Marco 9,2-10 Per due volte, in questa seconda domenica, si svolge sui monti una scena che anticipa in qualche modo la passione e la risurrezione: il sacrificio chiesto ad Abramo e la trasfigurazione di Gesù davanti a tre discepoli. Il silenzio di Dio. È un fatto che ha sconvolto non poche coscienze: la richiesta fatta da Dio ad Abramo, di sacrificargli cioè l’unico figlio come prova della sua fede. L’episodio è certamente di una drammaticità inaudita, se si tiene conto che qui la fede è richiesta, ad Abramo, allo stato puro. Senza garanzie, fidando solo sulla parola di Dio.

In tre giorni di cammino, verso il monte del sacrificio, padre e figlio tacciono entrambi. Vi è anche il silenzio di Dio, che non dà spiegazioni, ma si limita a verificare l’obbedienza di Abramo. Soltanto il figlio Isacco si limita a chiedere dove si trova la vittima per il sacrificio.

Il “dramma” della fede è ricondotto qui allo stadio più puro, che è quello di fidarsi di Dio nel modo più assoluto, senza appoggi umani. Come figlio, Isacco doveva morire, perché Abramo rinunciasse alla sua paternità e non avesse neppure la paternità per credere, ma solo la promessa della parola divina. Dio, salvando per Abramo l’unico figlio, dimostra la sua fedeltà alla promessa. La legge e la profezia. Nella pagina festiva del suo Vangelo, Marco racconta di quando Gesù “prese con sé Pietro Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato loro soli”. La scelta è precisa e il luogo circostanziato, elementi che hanno entrambi la loro importanza. Gesù si trasfigura davanti a loro e appaiono Elia e Mosè, che discorrono con Gesù.

Discorrono di che cosa? Il Vangelo non lo riferisce. I due personaggi biblici sono emblematici. Rappresentano l’uno la legge, Mosè, l’altro i profeti, Elia. I tempi e le persone che avevano preparato, in modo diverso e complementare, la venuta del Messia per Israele. Ora i tempi attesi si sono compiuti.

È giunta una legge nuova, quella dell’amore, e la profezia non è più una promessa ma un avvenimento, la salvezza per tutta l’umanità. Ecco la vera trasfigurazione. Legge e profeti avevano guidato, sino a Cristo, il vecchio Israele. Ora i nuovi figli di Abramo non saranno più guidati dalla legge, ma salvati dalla fede, in colui che sta per annunciare la sua morte e risurrezione. Il Figlio prediletto. La trasfigurazione è anche una rivelazione. I tre discepoli sentono una voce uscire dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo”. Il Padre fa conoscere l’identità del Figlio in un momento solenne di gloria e di splendore. Un’altra volta gli stessi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saranno chiamati “in un luogo appartato, loro soli”. Non sarà più un monte ma un orto, quello degli ulivi, dove Gesù sarà tradito e arrestato. Il luogo dell’agonia e dell’umiliazione. I tre discepoli dovranno ricordare chi avevano prima contemplato “con le vesti splendenti, bianchissime”.

Ora Gesù suda sangue e il suo volto è sofferente, si avvicinano il traditore, l’iniquo processo, la morte in croce. Ma egli aveva chiesto ai tre discepoli di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto sul monte, “se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti”. Allora si chiedevano che cosa volessero dire quelle parole. Ora possono capire. La morte non avrebbe vinto e il loro Maestro sarebbe risorto.

Carlo Caviglione