Domenica 9 ottobre 2005

Isaia 25, 6-10a; Filippesi 4,12-14.19,20; Matteo, 22, 1-14   Dopo la vita, il dono più grande, fatto da Dio all’uomo, è certamente quello della libertà. Per questo ci si batte talvolta per tutta la vita, per non perderla o per riconquistarla. La storia dei popoli insegna. Dio per primo è rispettoso della nostra libertà, e non costringe nessuno a seguire la sua volontà.   UN BANCHETTO PER INVITATI. Ancora una volta Gesù, per farsi capire, in una parabola paragona il Regno dei cieli a un banchetto di nozze, riservato a degli invitati. “Ma questi non vollero venire”. Alcuni non se ne curarono, altri presero i servi “li insultarono e li uccisero”. Gesù si rivolge “ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”. Persone autorevoli, esperti delle Sacre Scritture e, quindi, in grado di capire quelle parole. Era la loro storia e quella dei loro padri. Per primi, nella lunga storia della salvezza, erano stati chiamati alle “nozze” del Figlio. Avevano dimostrato indifferenza oppure ostilità. Due atteggiamenti che si ripetono nella storia, di fronte agli inviti di Dio.

Talvolta espliciti, altri avvertiti nell’intimo della coscienza. Oggi che si parla tanto, e doverosamente, di “crisi di vocazioni” per la mancanza di sacerdoti, si deve appunto pensare che Dio non ha cessato di chiamare, ma i giovani non rispondono, o per interessi diversi o per mancanza di coraggio. Certo la prospettiva di una vita comoda, si è fatta oggi più allettante. D’altra parte invece, anche se spiritualmente più ricca, la vita del prete comporta rinunce e sacrifici maggiori. Ai giovani viene fatto un invito che ha bisogno di generosità.   UNA SALA PIENA. Di fronte al rifiuto degli invitati, il padrone non si arrese. Mandò i servi a chiamare quanti incontravano ai crocicchi delle strade, buoni e cattivi, “e la sala si riempì di commensali”. Stando alla storia, così sarebbe avvenuto dopo il rifiuto dei capi di Israele, i primi invitati. Ora l’invito non è più particolare, ma universale. L’invito del padre, il Padre del Figlio che è Dio stesso, non poteva andare a vuoto e non conseguire il risultato voluto.

Ed è questa la svolta insospettata della parabola: il piano di Dio non viene sospeso, l’offerta non si spegne, anzi risuona con più intensità, per gli strani personaggi che un ebreo si sarebbe ben guardato di invitare alla sua mensa. È tutto un mondo di poveri e di emarginati, di sofferenti dispersi per le strade del mondo. Il figlio del padrone, Gesù stesso, è venuto proprio per loro. “Non per i giusti, ma per i peccatori”. Lascerà ai suoi servi, la Chiesa, la missione di andarli a cercare, dovunque si trovino, per riabilitarli con il perdono. Per questo, la Chiesa sarà “sempre piena” di quanti hanno bisogno di misericordia.   L’ABITO NUZIALE. Tra coloro che sono entrati per il banchetto, il padrone ne scorge uno senza l’abito di nozze: se ne meraviglia e ordina ai servi di cacciarlo fuori. Anche tra gli invitati può esserci il falso discepolo, che solo Gesù sa smascherare. È forse colui che grida “Signore, Signore”, ma non fa la volontà del Padre. O forse uno che ha creduto di passare inosservato, mettendo una pezza sul vestito vecchio, per non indossare il nuovo.

Chi viene alle “nozze dell’Agnello” deve proporsi di cambiare vita, radicalmente. Sin dal battesimo ha indossato un abito, la veste candida, che non dovrebbe più cambiare. Se accade, come purtroppo avviene, di macchiare quella veste, potrà essere solo ripulita dal sangue dell’Agnello, Cristo, che ci ha redenti con la sua morte. Il discepolo però dovrà fare tutto il possibile, per essere tra gli altri non zizzania, ma buon grano, quello che sarà raccolto nei granai del cielo.

Carlo Caviglione