Domenica 25 settembre 2005

Ezechiele 18,25-28; Filippesi 2,1-11; Matteo 21,28-32 C’è stato da noi il “1968”. Molti di quei protagonisti, che allora volevano cambiare il mondo, sono ora alla guida della società. Nel bene e nel male non hanno cambiato molto. Forse si sono pentiti o sono tornati indietro. Quando si sbaglia o si crede di aver sbagliato, il pentimento, nella logica delle cose, è sempre un rimedio opportuno. UN PADRE E DUE FIGLI. La parabola a carattere familiare, ci presenta un padre che ha due figli e ordina a entrambi di andare la lavorare nella vigna. Il primo rispose: sì, signore, ma non vi andò. Il secondo invece rispose: non ne ho voglia, ma poi, pentitosi, ci andò. “Chi dei due, chiede Gesù alla folla, ha fatto la volontà del padre?”. Dicono, l’ultimo. Risposta inevitabile, fin troppo facile. Non sono, infatti, le parole che contano, ma i fatti. Gesù stesso aveva detto un giorno: “Non chi dice Signore, Signore, entra nel regno, ma chi fa la volontà del Padre mio”. Sicuramente Gesù aveva detto quella parabola per uno scopo ben preciso, rivolto a degli ascoltatori di cui conosceva la natura e le intenzioni. Scribi e farisei che in varie occasioni aveva accusato di ipocrisia: dicono, ma non fanno. La loro vita era piena di parole e di buone intenzioni, ma in realtà imponevano agli altri i pesi (la fatica) che essi non volevano portare. Una religiosità di facciata, un servirsi della legge di Dio, piuttosto che servirla. Anzi, crearsi una situazione di privilegio, difesa da riti e da formalismi. LA VOLONTÀ DEL PADRE. Dei due figli, l’uno è stato obbediente alla volontà del padre, l’altro no. Il primo se n’è andato, l’altro s’è messo a lavorare nella vigna. Obbedire a Dio significa compiere, anzitutto, un atto di umiltà e accettare di “servire” nella sua vigna. Sono state le prime e umili parole pronunciate da Benedetto XVI in occasione della sua elezione a successore di Pietro. Ha detto: “Sono un semplice lavoratore nella vigna del Signore”. Così ogni cristiano che voglia secondare la volontà del Padre, come promette di fare ogni volta che recita il Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Qualunque sia il ruolo che abbiamo nel mondo e nella Chiesa, si tratta di fare della nostra vita un servizio, a Dio e al prossimo. Questo concetto di “servizio” è documentato ampiamente nei testi del Concilio Vaticano II, anche a riguardo di chi ha il compito di esercitare l’autorità, come per i semplici fedeli. Siamo infatti a servizio di un padrone che ci ha promesso un’ottima ricompensa. PENTIRSI PER CREDERE. La morale della parabola è quanto mai caustica e severa. Gesù mette a confronto i suoi ascoltatori con il genere di persone che più disprezzavano: pubblicani e prostitute, ladri e meretrici. “In verità vi dico: vi passano avanti nel regno di Dio”. E perché? Erano forse da lodare o da premiare per il loro “mestiere”? Certamente no, ma perché “si sono pentiti”. Voi, al contrario, pur avendo visto tutte queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credere”. Ecco l’enorme differenza: il cambiamento di vita e di mentalità, in forza della fede! Il che mette in chiara evidenza due grandi verità. La prima ci fa riflettere sull’infinita misericordia del Padre. La seconda ci invita a non cessare mai di credere al recupero morale e spirituale di qualcuno. Anche le persone, apparentemente più distanti da Dio, possono sempre riabilitarsi, pentirsi e convertirsi. Siamo anche chiamati ad aiutarli in questo loro cammino, certi che la grazia, che viene dall’alto, può trasformare anche la loro vita. Carlo Caviglione