Domenica 18 settembre 2005

Isaia 55,6-9; Filippesi 1,20c-27a; Matteo 20,1-16 Non tutti arrivano alla fede allo steso modo e negli stessi tempi, poiché non dipende da noi, ma da Colui che ci chiama. I suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Le sue vie sono spesso misteriose. UN PADRONE DI CASA. La parabola di questa domenica si ascolta o si legge con qualche fastidio. Abbiamo l’impressione di essere in presenza di un padrone ingiusto. Egli chiama a lavorare nella sua vigna operai, in ore diverse, dalle nove del mattino sino alle cinque di sera. Come aveva pattuito con loro, li ricompensa poi tutti con un solo denaro, senza tenere conto della diversità nella fatica. Come mai questo comportamento? La risposta è nell’identità del “padrone di casa”, che non è un padrone qualsiasi, ma si tratta del Padrone del mondo, della vita e della storia. Si è degnato e continua a degnarsi di chiamarci a lavorare nella sua vigna in tempi diversi. È un atto gratuito della sua bontà e misericordia. Non siamo noi ad avere scelto lui, ma lui ha scelto noi. Non tutti abbiamo ascoltato il suo invito alla stessa ora, ma in tempi diversi. Molti poi hanno preferito restare disoccupati e starsene fuori. Forse credevano che troppa fosse la fatica e poco il guadagno. COMINCIÒ DAGLI ULTIMI. Quando, la sera, venne il momento della retribuzione, il padrone ordinò al suo fattore di pagare “cominciando dagli ultimi sino ai primi”. E, come s’è detto, pagando tutti con la stessa moneta. La parabola insiste sulla sorte degli ultimi, i quali non sono stati discriminati o pagati di meno. Anzi, sono stati i primi ad avere la loro ricompensa. Così è avvenuto nella storia della salvezza. Un popolo, Israele, è stato scelto per primo, ma con la venuta in terra del Figlio di Dio, tutti gli uomini sono stati chiamati alla salvezza. In tempi diversi. Ci sono ancora popoli oggi, cui non è giunta ancora la chiamata. Sarebbe un’ingiustizia, se questi “ultimi” non avessero la stessa ricompensa. Forse si sono anche impegnati di più, forse il loro cammino per giungere alla fede può essere stato anche più lungo e faticoso. Noi non possiamo giudicare il comportamento del Padrone nei loro confronti. Non abbiamo né il diritto né la capacità di sindacare l’agire di Dio nei confronti nostri o degli altri. La sua sapienza infatti è infinita e pari alla sua misericordia. NON TI FACCIO TORTO. Gli operai che avevano faticato sin dal mattino, “mormoravano contro il padrone” accusandolo di ingiustizia. Al che egli rispose: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi”. Parole che avrebbero fatto raggelare il sangue a un sindacalista cristiano, poiché si sa che un padrone, secondo la Dottrina sociale cristiana “non può fare delle sue cose quello che vuole”, poiché non sono “sue”, egli ne è un semplice amministratore. I beni della terra sono di tutti. Ma qui il Padrone è diverso e le cose sono proprio “sue”, ne fa ciò che vuole. Siamo su due piani diversi. Non bisogna essere invidiosi a causa della sua magnanimità, poiché anche noi ne siamo beneficiati. Gesù si riferiva infatti a quegli scribi e farisei che lo biasimavano perché chiamava a sé anche i peccatori, considerati gli ultimi. Ma lui era venuto proprio per quelli e li aveva invitati ad entrare, per primi, nel suo Regno. Carlo Caviglione