Alla fine, la pandemia è entrata nei quartieri popolari, e in quelle che in Argentina si chiamano villas miseria, dove vive una fetta considerevole della popolazione urbana di Buenos Aires e della sua sterminata periferia. Uno sviluppo che si temeva, e in buona parte prevedeva. I casi di contagio hanno preso in questi giorni l’andamento esponenziale conosciuto ad altre latitudini. Non c’è da sorprendersi. I sacerdoti che vivono in queste villas lo avevano avvertito. Le misure di prevenzione dettate dalle autorità di governo per la città capitale non hanno la stessa applicabilità in luoghi dove vivono migliaia di persone in spazi abitativi ristretti, dove la vita trascorre per lo più nelle strade, dove le strutture sanitarie sono pressoché inesistenti. E si sono mossi di conseguenza, promuovendo soluzioni pratiche per gli abitanti dei quartieri popolari all’insegna della parola d’ordine “Rimani a casa, resta nel tuo quartiere”, che verrà difatti fatta propria dal Presidente degli argentini e da questi riproposta a livello nazionale. Così, in questi giorni che la peste, come la chiamano nelle villas, ha oltrepassato i confini di queste sacche di povertà ed è entrata negli ambienti più popolari e popolosi,
gli sforzi si moltiplicano perché non si incendi tutto come un fuoco in un pagliaio.
Si moltiplicano le case per anziani, quelle per gente di strada, gli Hogar per tossicodipendenti, tutte categorie a rischio. Anche le fila di chi cerca nutrimento si allungano davanti ai tanti punti creati nelle villas per sfamarli, giacché tutte le abituali attività i circuiti del cartone si sono chiusi e chi viveva della raccolta, i cartoneros come vengono chiamati in Argentina, non va più in giro a raccattarli per venderli. I riciclatori di rifiuti non si spostano più con i loro carretti dove gli ammassi di spazzatura sono più promettenti come facevano tutte le mattine sino ad alcuni giorni fa. Anche chi viveva di lavoretti, tagliare l’erba nel giardino di qualche casa, verniciare un cancello o qualche facciata, svuotare uno scantinato, prestare le braccia a giornata per un trasloco, non ha richieste. I venditori ambulanti che percorrevano le strade della villa hanno posteggiato i loro truck di latta colorata, le donne che friggevano patate e piade di mais agli angoli delle strade hanno spento i fornelli. I manovali, molti provenienti dal Paraguay, passano le giornate con le mani in mano. L’economia informale, come si suole chiamarla, è ferma, il microcircuito di compravendita che manteneva in vita la popolazione della villa è pressoché interrotto.
Dietro questa emergenza c’è un aspetto che merita di essere notato, e che potrebbe avere ricadute positive nel tempo a venire. Un amico che frequenta la villa dove vivo mi faceva notare, tra i tanti cambiamenti che si possono osservare in questo tempo di quarantena, unico nella storia moderna non solo argentina, uno “spostamento” che secondo lui rappresenta una novità anche in campo politico e non mancherà di avere ricadute benefiche sull’esercizio di una potestà vecchia come il mondo. Il potere – osservava mentre tornavamo da uno dei tanti viaggi in provincia per ritirare donazioni di alimenti – per la prima volta tende a coincidere con l’autorità.
Spiegava così questa sua osservazione.
Prima dell’inizio della quarantena nelle villas ci si preparava a contrastare la legge sull’aborto che il Presidente argentino e il suo governo intendevano riproporre al corpo legislativo della nazione dopo la bocciatura dello scorso anno. L’argomento di fondo era che si trattava di una misura di salute pubblica che un governo legittimamente costituito è tenuto ad approvare per tutelare la sicurezza delle donne vittime di aborti clandestini. Adesso che questo stesso governo si trova a gestire una situazione che drammaticamente è di salute pubblica a tutti gli effetti, per raggiungere gli strati più emarginati della società, quelli di fatto più infettati, ricorre a chi ne interpreta il sentire profondo, ovvero ai così chiamati curas villeros, i preti delle villas così benvoluti dal Papa argentino. Il potere, cioè, assume l’autorità che essi hanno tra la popolazione più umile per imporre le misure di quarantena in ambiti popolari dove altrimenti non verrebbe ascoltato.
Cos’è successo, si domandava ancora questo amico? Il contrario di quando la politica non è ancorata alla realtà, e quindi non la conosce per poterla governare. Il potere assume il punto di vista di chi vive al servizio dei più umili, in questo caso i curas delle villas, per rivestirsi dell’autorità che essi hanno nei settori popolari e poter essere ascoltato. Una trasformazione benefica che dovrà insegnare molto al potere e a chi lo esercita anche nel tempo a venire.
Aggiungo, in appoggio a questa considerazione, un pensiero analogo di papa Francesco esposto in una intervista sull’America Latina di qualche mese fa: “A volte i politici delle diverse organizzazioni che cercano di aiutare i poveri hanno difficoltà a capire le caratteristiche culturali di questi poveri concreti. Per questo il loro aiuto verrà percepito sempre come ‘esterno’ a essi, come qualcosa che gli arriva da persone benintenzionate ma strane. Tali aiuti produrranno certamente un sollievo, ma non avranno forza di trasformazione, di consolazione, di stimolo, di reale vicinanza”. E proseguiva: “Nel caso dei sacerdoti che vivono in quartieri molto poveri, cercando di promuovere le persone con i loro propri tempi e la loro propria cultura, quello che succede è diverso. Gli abitanti li sentono come parte di loro stessi: vivono con loro, condividono i loro limiti, le loro insicurezze, i loro timori, i loro sogni. Le organizzazioni sociali che vogliono lavorare per i poveri e ‘con loro’, potrebbero trovare in questi sacerdoti i loro migliori alleati, che li aiuterebbero a capire dal di dentro chi sono, come sono e come possono veramente essere promossi questi poveri, dal di dentro e dal basso. (…) Perché non c’è cambiamento reale e duraturo se non si produce ‘dal di dentro e dal basso’”. [Papa Francesco. America Latina. Conversazioni con Hernán Reyes Alcaide. Edizioni San Paolo, 2019].