Domenica 26 giungo 2005

2Re 4,8 – 11.14-16a; Rm 6,3-4.8-11; Matteo 10,37-41

Quasi tutti i giorni sentiamo parlare di accoglienza, in un mondo in cui si spostano milioni di persone spinte dalla miseria, dalla fame o in cerca di lavoro. La vecchia Europa è quasi aggredita dagli immigrati del Terzo mondo e non si sa bene come sarà in futuro. CHI ACCOGLIE VOI. Nel Vangelo di questa domenica, Gesù parla espressamente di accoglienza. La qualifica come atto dovuto ai suoi discepoli, mandati nel mondo a predicare il Vangelo. Essi sono i continuatori della sua stessa missione di salvezza. Pertanto, chi li accoglie, “accoglie Gesù stesso e colui che lo ha mandato”. Ed aggiunge: “Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta; e chi accoglie un giusto, come giusto, avrà la ricompensa del giusto”. Siamo in presenza di una identificazione di Gesù con i suoi discepoli. Essi saranno la sua presenza nel mondo, tra la gente, dove verranno accolti. Il che significa un continuo esercizio di carità e di collaborazione. Nella Chiesa vi sono vari ministeri. Ognuno è chiamato a fare la sua parte, ma deve sempre trovare la collaborazione degli altri. Accoglienza significa anche condivisione, la spiritualità del “con”, che significa appunto operare per il regno di Dio, facendo un cammino insieme, dando una mano ai “profeti” perché possano realizzare nel mondo la loro missione. Un bicchiere di acqua. Gesù insiste sul tema dell’accoglienza, che si estende a quanti hanno bisogno di aiuto e non solo al profeta o al giusto. Anzi “chi avrà dato anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, vi dico non perderà la sua ricompensa”. Per noi che viviamo nei Paesi del benessere, sembra ben poca cosa un bicchiere di acqua fresca. Non è così, ancora oggi, per milioni e milioni di persone che non hanno acqua da bere. È un paradosso di questa nostra società che ancora non è riuscita a distribuire con giustizia i beni della terra. Ci potrebbe essere acqua e cibo per tutti, ma l’egoismo che domina ancora i singoli e i popoli impedisce la realizzazione di vere opere di giustizia e solidarietà. I cristiani devono operare insieme per superare coraggiosamente queste situazioni. Perdere e trovare. Secondo il Vangelo “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà e chi avrà perduto la sua vita, per causa mia, la troverà”. Si tratta di una frase assai difficile da interpretare. La più logica è quella di trovare, ancora una volta, l’invito di Gesù a uscire da se stessi, dalla propria vita, per dedicarsi agli altri. Una vita, cioè, che non si chiude, ma si apre alle esigenze del prossimo. L’esempio ci è stato dato da Gesù stesso, il quale “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per molti”. Si è trattato di una donazione totale e sofferta, sino alla croce. D’altra parte, che donazione sarebbe, senza sacrificio? Così anche per noi. Sul suo esempio, i discepoli di Cristo non possono essere indifferenti ai bisogni degli altri, né godersi la vita senza pensare e provvedere a chi sta peggio di loro. Tanto vicini, quanto lontani. È un invito a fare della propria vita un servizio. Una vocazione che è di tutti coloro che vogliono seguire Cristo, non solo a parole, ma con fatti concreti, operando per la promozione della giustizia nel mondo, intervenendo, per quanto è possibile, nelle tante iniziative di carità, specialmente dei missionari. Carlo Caviglione