Domenica 8 maggio 2005

Atti 1,1-11; 1 Corinzi 12,3b-7.12.13; Matteo 28,16-20

Circa quaranta giorni dopo la Pasqua, la festa liturgica dell’Ascensione segna una tappa importante nel cammino della Chiesa, si tratta quasi dei suoi inizi, per la missione ricevuta di continuare nel mondo l’opera di Cristo, suo fondatore. A questa missione di annuncio e di salvezza si è riferito più volte, nelle sue prime omelie, Benedetto XVI. RITORNO IN GALILEA. Prima di salutare i suoi discepoli, rimasti undici per la defezione di Giuda, il Signore risorto è ritornato in Galilea, la regione da cui era partito. È qui che aveva cominciato ad annunciare il Vangelo e, in questo luogo di frontiera con i pagani, egli aveva dato appuntamento ai suoi discepoli, che si erano dispersi quando egli, il pastore, era stato ferito ed umiliato. Gesù è ritornato sul luogo degli inizi per conferire ai suoi una missione, con la forza e la garanzia della sua risurrezione. Ora i discepoli non dovranno temere più nessuno al mondo, poiché la luce del Risorto illuminerà, d’ora in poi, tutti coloro che camminano ancora nelle tenebre. Gesù ha convocato gli apostoli su una montagna, come all’inizio li aveva condotti sulla montagna, quando parlò loro per annunciare la via della felicità, quella del regno dei cieli, nel discorso delle beatitudini. Allo stesso modo Dio aveva convocato il suo popolo ai piedi del Sinai, quando aveva voluto fare di quel popolo la sua “ekklesia”, la sua assemblea. Ora il Risorto è su questa montagna in Galilea, che rappresenta in qualche modo l’incontro tra il cielo e la terra, che intende dichiararsi apertamente e solennemente come colui che ha ricevuto “tutta l’autorità nei cieli e sulla terra”. INVIA GLI APOSTOLI. Dopo averli convocati, Gesù parla ai suoi e dice: “Vi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Il primo comando è andare. Esprime bene il senso dinamico della evangelizzazione, che non può mai fermarsi. Anzi la stessa comunità di fede, costituita e consolidata, deve a sua volta diventare missionaria. Diceva già Giovanni Paolo II: “Una Chiesa che non sia missionaria, non è la Chiesa di Cristo”. Missionaria per “ammaestrare” ossia per insegnare a conoscere e vivere il Vangelo. È il compito principale dei discepoli di Cristo. Un insegnamento fatto di parole, ma ovviamente confermato dalla testimonianza: Diceva già di sé l’apostolo Paolo. “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo”. Qualcuno ha denunciato che “la sacramentalizzazione è stata la rovina della Chiesa”. Parlando dei tempi in cui si dava per scontata la fede di tanti cristiani, che purtroppo avevano perdute le radici della loro fede cristiana. IO SONO CON VOI. I discepoli dove e da chi attingeranno la forza per compiere, con fedeltà e coraggio, la loro difficile missione? La stessa domanda si è posto Benedetto XVI, proprio all’inizio del suo ministero, che ha definito “un compito inaudito”. La sua risposta si è ispirata alla promessa fatta da Gesù agli undici in Galilea: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Una presenza certa del Risorto e che si esprime nella continua assistenza dello Spirito Santo, che anima e vivifica la Chiesa. Ogni battezzato beneficia di questa presenza, sin dal giorno del Battesimo. Presenza che si rende più viva ed efficace nell’Eucaristia, dove il corpo e il sangue di Cristo diventano nostro alimento spirituale. Presenza di Cristo nei poveri, “che avremo sempre tra noi”. Tutti i giorni e fino alla fine del mondo. Si tratta dunque di una presenza senza limiti di tempo e di spazio, e senza interruzione. Se avessimo davvero una fede evangelica, non ci dovrebbe mai essere nella nostra vita un momento di sfiducia o di tristezza. Sapendo che questa presenza di Cristo “vince il mondo” e ci sostiene in ogni difficoltà. Carlo Caviglione