Domenica 20 marzo 2005

Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Matteo 6,14-27, 66 È come una domenica a due facce, quella delle Palme, che precede la Pasqua. Ha un suo aspetto gioioso nella prima parte, celebrando l’ingresso di Gesù, trionfante, in Gerusalemme. Tutti acclamano al profeta, al figlio di David. La scena cambia però rapidamente con la lettura del racconto della passione di Matteo. Agli “osanna” seguono di poco i “crucifige”. QUESTI È IL PROFETA. Un giorno i discepoli rimproverarono i bambini che gridavano, attorno a Gesù, dichiarandolo Figlio di Dio. A sua volta Gesù, riprese gli apostoli dicendo: lasciateli fare, perché se loro tacessero, griderebbero le pietre. Prima di andare a morire per noi sulla croce, Gesù ha ricevuto questa bella testimonianza da parte dei bambini. Loro, per primi, nella loro innocenza e semplicità, l’hanno riconosciuto e acclamato come il profeta, anzi come Figlio di Dio. Sono i semplici che hanno, immediatamente, queste intuizioni. Forse per questo, si può dire che le chiese sono più affollate alle Palme, che non il giorno di Pasqua. Sono i bambini che trascinano parenti e genitori per agitare le palme e gli ulivi, per proclamare insieme: “Questi è il profeta Gesù”. Una dichiarazione esplicita di fede, che non dovrebbe limitarsi ad essere pronunciata in questa domenica, nelle chiese. Dovrebbe essere quasi l’ideale delle nostre famiglie: guardare a Cristo, l’inviato di Dio, per avere in lui una guida sicura e un modello di vita. L’UMANITÀ DAVANTI ALLA CROCE. La lettura attenta del racconto della Passione potrebbe anche sostituire una buona omelia. In quel racconto si trova la storia del mondo e di ogni uomo. Nella cena pasquale, Gesù celebra il mistero della continua permanenza in mezzo al suo popolo. Nella sua agonia si rivela la completa accettazione della volontà del Padre. Nell’arresto, Gesù ribadisce la sua scelta appassionata per il perdono e la non violenza. Il processo giudaico è dominato dall’ultima grande rivelazione di Gesù davanti al suo popolo. “Vedrete il figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo”. Il processo romano svela l’indifferenza dei pagani e l’ingiustizia dei Cesari, mentre la crocifissione sancisce l’estrema crudeltà e il disprezzo per l’uomo. Sfila davanti alla croce l’umanità che bestemmia, sfila il cosmo con le sue tenebre (terremoto e oscurità), sfilano i nuovi credenti, come il centurione, sfila l’umanità nuova, liberata da Cristo, poiché si aprono anche i sepolcri e il velo del tempio viene squarciato. SEGUIRE CRISTO NEL DONO DI SÉ. Don Nicola, il fratello di Calipari, l’agente del Sismi, che ha dato la sua vita per salvare quella di una giornalista, ha detto ai funerali che suo fratello aveva seguito la strada del dono di sé per gli altri. La via che Cristo ha indicato per tutti, dicendo che “non c’è amore più grande di chi dà la vita per il proprio fratello”. Così lui ha fatto sulla croce per la nostra salvezza. Non ha voluto scendere dalla croce, per seguire sino in fondo la volontà del Padre, come vittima di tante ingiustizie e dei nostri peccati. Ci ha insegnato che la sofferenza è preziosa, misteriosamente, davanti agli occhi di Dio, poiché il Figlio ha scelto di soffrire per noi. È stato crocifisso ingiustamente, come avviene ancora oggi, per tanti “crocifissi” che soffrono ingiustamente. La Chiesa, come Cristo, continua ad essere dalla parte di questi nuovi crocifissi, umiliati, deboli, oppressi. Una Chiesa vicina a milioni di uomini e di donne, soprattutto di bambini, che non hanno il necessario per vivere, in un mondo opulente e benestante. Noi cristiani, per primi, gloriandoci della croce di Gesù, dovremmo essere concretamente solidali con questi nostri fratelli. Carlo Caviglione