Domenica 30 gennaio 2005

Sofonia 2,4;3.12-13. 1 Corinzi 1,26-31, Matteo 5,1-12

È difficile oggi leggere questa pagina di Vangelo, le Beatitudini, senza un certo disagio. È nota come la sintesi di tutto il Vangelo. Gesù indica la carta d’identità dei suoi discepoli, quelli che saranno umili, poveri, miti, assetati di giustizia e operatori di pace, puri di cuore e perseguitati o insultati a causa di Cristo. Chi può dire di trovarsi pienamente in queste categorie? UN DISCORSO DALLA MONTAGNA. Il Vangelo dice che Gesù fece il suo discorso, detto poi delle Beatitudini, essendo salito sulla montagna. Allora, vedendo le folle, disse, “ammaestrando”. Erano vicini i suoi discepoli, ad indicare che essi, per primi dovevano ascoltare. Quello di Gesù è un insegnamento da maestro, quindi autorevole. Egli vuole indicare chiaramente il pensiero di Dio e far sapere chi a Lui è gradito. È quasi un elenco di situazioni esistenziali, ma indica anche delle scelte che sono state fatte per piacere a Dio. Chi sono infatti i “beati”? Non certo gente che ha conseguito delle soddisfazioni terrene, dei traguardi ambiti da molti come la ricchezza, il potere, il successo, la fama. Nulla di tutto questo, anzi il contrario: Si tratta invece di persone che hanno scelto di non contare davanti al mondo, nella povertà e nell’umiltà, nelle prove difficili della vita e nella sofferenza, in vista di una beatitudine che non è di questo mondo. LOTTA, NON RINUNCIA. Se si fa attenzione solo ad alcune Beatitudini, si potrebbe pensare ad un’identità riduttiva del discepolo di Cristo, che sceglie la povertà e la mitezza, la rinuncia e il sacrificio. Già queste virtù non sono certamente passive. Esse implicano una scelta virile e coraggiosa. Ma vi sono poi altre Beatitudini che chiedono maggiore operosità. Pensiamo a coloro che “hanno fame e sete di giustizia”, a quelli che sono “operatori di pace” o “ai perseguitati a causa della giustizia”. Sono oggi categorie particolarmente attive ed importanti. Non è da molto che i cristiani hanno dato segno di maggior impegno e sensibilità in questa direzione. Non che siano mancati in precedenza, ma certamente oggi la globalizzazione e la miglior conoscenza delle miserie del mondo, hanno fatto nascere un senso più acuto di responsabilità nei confronti dei più emarginati. Sono anche maggiori “la fame e la sete di giustizia”, ancora da attuare in tante parti del mondo. Il che vale non meno per gli “operatori di pace”, che il Papa – per primo – continua a sostenere con la sua parole e con l’esempio, con la sua fatica fisica e spirituale. INSULTI E PERSECUZIONI. Con le sue promesse, Gesù non ha mai ingannato nessuno. Ai suoi discepoli ha detto con chiarezza ciò che, seguendo lui, avrebbero dovuto aspettarsi dal mondo. “Vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi, a causa mia”. In duemila anni già passati, questa è la storia della Chiesa, quella vera e fedele a Cristo. Una lunga struscia di sangue, il sangue dei suoi martiri. Neppure oggi è cessato l’insulto, tanto meno la persecuzione. Quelle parole “diranno ogni sorta di male” non mancano di essere vere ed attuali, come quando – nelle scorse settimane – non si è cessato per giorni interi di aggredire sulla stampa l’opera e la figura di un grande Papa, Pio XII. Sono insulti e menzogne che ritornano spesso, sono cicliche, è stato scritto, come certe malattie. Ebbene, tutto ciò Gesù l’aveva messo in conto, eravamo avvertiti. La conclusione però non è di tristezza, ma di gioia: “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Non c’è soltanto questa terra o questa breve vita terrena. Noi aspettiamo “cieli nuovi e terra nuova”. Ci muove e ci sostiene la speranza che sorgerà l’alba della piena giustizia e il giorno della pace senza fine. Carlo Caviglione