Uno dei settori maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria Coronavirus Covid-19 è senza dubbio quello dello sport. Si sente spesso parlare della ripresa del campionato di calcio, ma oltre a questo c’è un mondo più sottaciuto che gravita attorno allo sport e al benessere fisico. Un mondo fatto di palestre, sport minori, piscine e circoli che da oltre due mesi sono fermi. Allo stesso modo, gli operatori di questo settore si sono trovati senza lavoro e senza garanzie. Alcuni di loro, per cercare di garantire un futuro a una professione rimasta precaria e non definita per troppo tempo, si sono riuniti fondando un Comitato per i diritti dei lavoratori sportivi. Per capire il futuro di questo “esercito” di persone, si stima che siano oltre 500mila, il Sir ha intervistato Laura Santoro, esponente della neonata organizzazione.
Com’è nato il Comitato per i diritti dei lavoratori sportivi?
“Il comitato si è formato da qualche mese a Milano, dove dal 25 febbraio sono state chiuse le strutture sportive. Nessuno di noi ha quindi potuto lavorare e da lì ci siamo organizzati, quasi per caso. Purtroppo, ingenuamente tutti pensavamo che questa situazione di sarebbe risolta in tempi brevi, mentre è ancora tutto fermo. In tal senso, l’esistenza del Comitato ha ancora di più ragion d’essere.
I lavoratori sportivi, seppur mai censiti e controllati, si stima che siano oltre 500mila fino ad arrivare a un milione se conteggiamo tesserati, atleti e tecnici di gara. È un vero e proprio mondo che gira attorno allo sport”.
Quali sono oggi le maggiori difficoltà, oltre al fatto di non lavorare, per gli operatori dello sport?
“Il problema di chi fa questo lavoro è che spesso non avendo un contratto non abbiamo garanzie e allo stesso modo non abbiamo diritto a nulla, che sia una disoccupazione, una malattia o le ferie. Legato all’emergenza sanitaria c’è anche la questione dell’indennità. Se è vero che per la prima volta il governo ci ha riconosciuto come figura professionale è anche vero che il criterio dei 600 euro è stato dato come ‘universale’, ma non può essere uguale per tutti perché è comunque un lavoro che si svolge a ore e sono stati privilegiati quelli che avevano un reddito annuale inferiore a 10mila euro, mentre gli altri sono stati fatti rientrare in un’altra categoria, che di fatto, non essendoci un contratto nazionale con delle linee guida, non esiste. È quindi successo che i 600 euro sono andati a chi magari lavora due ore a settimana e non a chi ne lavora 40 mantenendo una famiglia. Questa cosa ci ha spinto a creare un Comitato anche perché non abbiamo un sindacato o qualcuno ci rappresenti”.
In questo senso come vi state muovendo?
“Non nascondo che il malcontento c’è. Molti vorrebbero fare delle proteste , ma il senso di responsabilità ce lo impedisce. Ci stiamo muovendo con diverse riunioni da remoto, anche con esponenti della politica, per cercare di trovare una soluzione. Essendo figura non professionale non abbiamo diritto all’Inail, questo anche perché non abbiamo un contratto.
Il nostro lavoro spesso implica un contatto stretto però che può portare a un contagio. Per questo stiamo cercando di ottenere le tutele di base come, se non l’accesso diretto all’Inail, un’assicurazione lavorativa.
Sono tutte cose che stiamo portando avanti e devo dire che ci stanno ascoltando anche perché non stiamo chiedendo la luna, ma solo ciò che è giusto e sicuro per noi e per i nostri allievi”.
L’auspicio, quindi, qual è nel medio-lungo termine?
“Naturalmente che la nostra situazione di lavoratori, educatori e professionisti venga riconosciuta e regolarizzata ma nel breve c’è anche il problema che molte strutture non riapriranno e quelle che lo faranno saranno costrette a ridurre il personale. La nostra non è una guerra con i gestori degli impianti, anche loro in grande difficoltà.
Non abbiamo le armi puntate ma le braccia aperte.
Come noi abbiamo bisogno di loro, loro hanno bisogno di noi. Siamo tutti vittime di una situazione che non è mai stata affrontata negli anni e che, se non verrà gestita bene e in fretta, porterà al collasso un intero comparto economico del nostro Paese. Ci sarà un esercito di disoccupati e un numero altissimo di fallimenti”.
Tornando all’aspetto educativo, il vostro lavoro ha anche un valore pedagogico. Siete allenatori, ma anche educatori…
“Assolutamente sì. Nel mio lavoro mi interfaccio con i genitori dei miei ragazzi e al di là dell’aspetto ‘so nuotare o meno’ molti di loro hanno problemi di socializzazione, sono timidi, hanno difficoltà di altra natura. Ho visto più volte istruttori talmente bravi da far cambiare e crescere i ragazzi, fargli prendere sicurezza, educarli con i campi scuola e tutte le attività collaterali al lavoro con i bambini. Queste sono tutte situazioni che vanno vissute per essere capite.
C’è tutto un mondo dietro. Non è solo sport”.