I fedeli hanno promosso le “messe on line”, introdotte a seguito delle misure per contrastare la pandemia da Covid-19, ma hanno sentito il peso di non poter fare la Comunione. Non hanno condiviso il divieto dei funerali, ma in generale il lockdown delle celebrazioni con il popolo è stato ritenuto misura necessaria ed espressione di una giusta collaborazione tra Stato e Chiesa. Sono i principali risultati emersi dall’indagine promossa dall’Università “Giustino Fortunato” di Benevento, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e con il Dipartimento di Diritto canonico della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale (Pftim) sezione San Tommaso d’Aquino, sul tema “Libertà religiosa e fede al tempo del Covid-19”.
All’indagine hanno preso parte oltre 4000 le persone: il suo obiettivo è stato analizzare la reazione del fedele/cittadino nei confronti della “nuova” esperienza di fede, vissuta durante la cosiddetta fase 1 dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
I quesiti sono stati quindici, il totale degli intervistati (4.032) è formato per circa il 70% da donne. Lo status maggiormente rappresentato è quello di “coniugato con figli” (54,44%), immediatamente seguito da “laico non coniugato” (25,89%); più del 50% degli intervistati ha un impegno pastorale diretto, rientra nella fascia d’età 51-70 anni e oltre e ha un titolo di studio che varia tra la laurea o una specializzazione post laurea. Il 70% circa dei partecipanti si dichiara cattolico assiduamente praticante.
Nella maggioranza dei casi i provvedimenti sono stati avvertiti come espressione di una giusta collaborazione tra Stato e Chiesa cattolica (33,06%), una necessaria e opportuna misura che il Governo doveva adottare (25,83%) ovvero una giusta e condivisibile limitazione dei diritti confessionali perché ispirata a responsabilità personale e sociale (19,65%). Delle conseguenze dei provvedimenti adottati dal Governo quello che meno è stato condiviso dagli intervistati si riferisce alla circostanza che i defunti non abbiano ricevuto un degno commiato con un funerale (49,34%), seguito, seppur con ampio margine di differenza, dall’intervento, in alcuni casi, della forza pubblica nei luoghi di culto (11,82%). La privazione della vita di fede maggiormente sofferta dagli intervistati è stata quella di non poter ricevere la S. Comunione (32,38%), seguita dal pensiero di non poter ricevere un degno funerale in caso di morte (29,16%) e dal non poter partecipare alla messa in parrocchia (20,02%).
Questa esperienza, poi, secondo una buona percentuale di intervistati, servirà a rafforzare la fede di ognuno (34,62%) così che molti, che prima non frequentavano le comunità parrocchiali, sentiranno il bisogno di partecipare alle attività e alle funzioni comunitarie della parrocchia (25,27%).