Seppur costretto all’angolo dalla pandemia da Covid-19, il mondo dello sport che ruota intorno alla Fondazione “Laureus Sport for Good” non è rimasto passivo durante l’emergenza da Covid-19, anzi sta affilando le proprie armi in attesa di poter tornare “all’aperto” per continuare la sua partita e vincerla. Così come fece quel 30 ottobre del 1974, Muhammad Alì che affrontò e sconfisse il suo avversario, George Foreman, nell’incontro di pugilato più importante del XX secolo, passato alla storia come “The Rumble in the Jungle”. Foreman era il favorito, ma Alì non si scoraggiò e applicò una tattica attendista. Si rinchiuse in una guardia stretta con la schiena alle corde ed attese che il suo avversario si sfiancasse. Non uscì dal suo guscio prima di avere la certezza che Foreman fosse esausto. Solo a quel punto ruppe gli indugi e lo sconfisse. La stessa tattica che sta adottando la squadra di psicologi dello sport, educatori, maestri e allenatori di “Laureus Sport for Good” Italia, in campo dal 2005 nelle periferie di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli, dove la Fondazione è impegnata a sostenere i minori a rischio di devianza attraverso l’uso positivo della pratica sportiva.
Nel 2019 sono stati 85 gli insegnanti e allenatori in Italia coinvolti nei progetti sul territorio, che hanno interessato 39 scuole e società sportive e ben 1945 bambini. Laureus Sport for Good, nato a Londra nel 1999, oggi opera in 35 Paesi del mondo con oltre 150 progetti. Sono oltre 1.000.000 i bambini sostenuti mediante l’uso positivo dello sport.
Adesso, a causa della pandemia, la squadra di lavoro della Fondazione Laureus Italia è stata costretta a rivedere in corsa le proprie metodologie di lavoro per far sì che tutti gli sforzi profusi finora non risultino vani, come spiega Alessandra Stella, tutor Laureus e psicologa dello sport, che opera a Milano. “In prima battuta si è reso necessario un supporto agli operatori del campo improvvisamente tolti dal proprio ambiente e non abituati a una modalità relazionale non fisica con le proprie squadre. In una modalità di lavoro che viaggia on line – afferma la tutor – la reciprocità dei rapporti non è garantita e questo ha complicato il lavoro a catena, in primis di insegnanti e allenatori. In questa fase è più che mai necessario che un gruppo squadra incarni compattezza, coordinamento e senso di appartenenza”.
“La maglia della squadra o il continuo riferimento al campo e al pallone tengono vivo nel bambino il ricordo di qualcosa di bello che lo stimolano a sentirsi parte dell’esperienza evocata”.
Un tatami in casa. Da Milano a Roma, dove tra Ostia e i quartieri di Corviale e dell’Esquilino, opera un altro tutor Laureus, Gabriele Manca. “Mancando, a causa della pandemia, il contatto diretto e la pratica all’aperto o in palestra – afferma l’allenatore – ciò che possiamo fare è un intervento contenitivo fondato sul sostegno emotivo. Il nostro principale obiettivo è far sì che gli insegnanti e soprattutto gli allenatori non perdano di vista i loro allievi, a partire da quelli più in difficoltà, mantenendo con loro un contatto continuo che li aiuti a utilizzare il tempo in maniera costruttiva”. Come chiede ai suoi piccoli atleti Marco Ciceroni, allenatore di minibasket a Ostia: “Stiamo promuovendo alcune iniziative in cui chiediamo ai bambini di filmarsi mentre compiono alcuni esercizi con la palla e salutano la squadra”. Si sta ingegnando per portare avanti la sua attività anche Stefano Frate, maestro di judo della Asd Spartacus coinvolto nel progetto Laureus di Milano. “Il judo ha bisogno di un luogo (Dojo) in cui allenarsi e compagni per la pratica. Nonostante siano venute meno queste due premesse fondamentali non ci siamo scoraggiati.
La voglia di stare insieme ha prevalso.
Riusciamo a fare gruppo tramite computer, tablet, smartphone, WhatsApp. Ci siamo inventati un tatami con tappetini, cuscini e coperte di casa e ci facciamo bastare il nostro Jūdōgi (l’abbigliamento dei judoka, ndr.) per poter imparare o ripassare qualche esercizio”.
“Capita spesso che alla fine della lezione on line, i bambini rimangano collegati per chiacchierare tra di loro, ridere e scherzare, proprio come succede nello spogliatoio a fine lezione. Anche le famiglie sono contente. Nei giorni successivi all’allenamento i bambini sono felici e il loro buonumore è contagioso per i loro genitori”.
Modelli da seguire. Dal quartiere napoletano di Scampia, Massimo Portoghese, allenatore di karatè, rivela: “In questa emergenza i bambini si aggrappano ulteriormente a noi, additandoci come modelli da seguire. Comprendono pienamente che le persone che stimano non possono essere sostituite da nessun tipo di tecnologia e che solo l’unione e la condivisione possono essere le chiavi per uscire da questo incubo”. All’inizio della fase 2 dell’emergenza la squadra di lavoro della Fondazione Laureus Sport for Good ha già presente quali saranno le insidie e i problemi con cui dovranno confrontarsi i bambini una volta terminato il lockdown. “La paura di un nemico invisibile, di qualcosa che non si conosce fino in fondo potrebbe lasciare una traccia nel timore di tutto ciò che è altro da noi.
Ma – rimarca Stella – i momenti di quotidiana aggregazione saranno riconosciuti come un dono e, ogni volta che potremo trascorrere il nostro tempo ad allenarci e a fare sport insieme, avremo trascorso tempo di valore che lascerà una traccia positiva indelebile”.