“Vorrei tanto che la Chiesa che mi è affidata avesse, in questi giorni, la capacità di fare esperienza di quei cinque verbi, che punteggiano il racconto del 24° capitolo di Luca. Fossero come il Risorto, capaci di affiancarsi, di ascoltare, di spiegare le Scritture, entrare nella casa degli altri, facendosi riconoscere nei gesti della carità. Forse, in piccolo, qualcosa di simile a chi nella struttura sanitaria rischia per curare gli altri, come chi porta la spesa a chi non è in grado di uscire da solo, come chi si fa carico di una situazione difficile”. È l’auspicio espresso dall’arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Riccardo Fontana, nella lettera inviata alla diocesi per la Pasqua.
In questo tempo di pandemia, “ci stiamo rendendo conto che siamo tutti nella stessa barca, la famiglia umana”, osserva l’arcivescovo, aggiungendo che “credevamo quasi di essere onnipotenti, ma il potere del male ha scoperto il suo volto. È il momento giusto per riflettere su chi siamo e quali siano le ragioni del vivere”. “Mi ha fatto molto riflettere che, in questi terribili frangenti, da più parti si dice che la salvezza viene ricomponendo la famiglia, che è la casa vera più di quella di pietra”, prosegue mons. Fontana, secondo cui “ci è chiesto di tornare a ragionare insieme, ci è chiesto di comunicare. Forse, ciò che è morto davvero è la civiltà dell’evasione”. “L’uovo di questa Pasqua – afferma – potrebbe essere recuperare le identità più vere che ci appartengono. L’antica tradizione russa di scambiarsi uova per Pasqua nacque da una splendida idea cristiana: l’uovo che sembra come un ciottolo di pietra morta, contiene in sé la vita, se solo hai la pazienza di attendere e la certezza che si infrangerà il guscio per generare una vita nuova. Così volle il progetto del Creatore”.
Questo, continua mons. Fontana “è il tempo della fede”; si tratta di “dar tempo a Dio, che non solo ci salverà dal male presente, ma, non so come, riesce a trasformare anche il male per fare del bene”. “È vero che ci è sospesa la possibilità di celebrare come comunità l’Eucaristia, ma – osserva l’arcivescovo – non siamo privati dei frutti dell’Eucaristia, che sono essenzialmente la carità verso Dio e verso il prossimo”. Secondo Fontana, “la vera sfida di questi giorni terribili non è quando finirà, ma se saremo capaci di costruire il nuovo, se sarà stata un’esperienza che, oltre a segnare la storia, verrà raccolta come inizio di un cambiamento grande, occasione per rifondare la convivenza umana su principi ideali, che Dio seguita a proporci”.