“Mai ci saremo immaginati di celebrare una Pasqua così, chiusi in casa, nella impossibilità di incontrarci e di scambiarci gli auguri con un abbraccio e una stretta di mano. Chiusi in casa con senso di timore e smarrimento per una epidemia che ci trova impreparati, non solo per la vastità e gravita del contagio, ma perché ha messo in crisi le certezze e le sicurezze alle quali in questi anni la cultura e la società ci avevano abituati”. Lo sottolinea mons. Giuseppe Pellegrini, vescovo Concordia-Pordenone, nel suo messaggio per Pasqua. Eppure, “le prime parole di Gesù risorto”, rivolte a Maddalena, “sono di una tenerezza straordinaria: ‘Donna, perché piangi?’. E anche a noi, in questa Pasqua ci chiede: ‘Perché piangete?’. Si avvicina e delicatamente si preoccupa di noi, chiedendoci come stiamo, si prende cura di noi, asciugando le nostre lacrime e riscaldando il nostro cuore. Nella prima ora del mattino di Pasqua, Gesù si preoccupa del nostro dolore, si china sulle nostre sofferenze abbracciandoci e stringendoci a sé. È il segno meraviglioso di un Dio che prova dolore per il dolore dell’umanità, che soffre per quello che ci sta capitando, senza abbandonarci e lasciarci soli, e, senza sconvolgere i ritmi della storia, si fa carico delle nostre preoccupazioni e delle nostre necessità”. Questo “è il modo con cui Gesù affronta il dolore del mondo. Di fronte ai nostri interrogativi e ai nostri perché, il Signore si avvicina a noi, alla nostra sofferenza, ci fa sentire il suo amore, la sua vicinanza e la sua compassione”.
In questi giorni segnati dal coronavirus, “come alla Maddalena, così anche a noi, il Signore chiede di avere il coraggio di riconoscere i segni della sua presenza e della vittoria sul male e sulla morte. Ci chiede di andare, senza paura, a proclamare a tutti che Lui è vivo, è ancora presente nella scena del mondo per portare gioia, amore e speranza”. E “quanto amore, nei giorni del coronavirus, si sta diffondendo nel nostro territorio e nel mondo. Basti pensare ai medici, agli infermieri, veri angeli custodi dei malati, ai tantissimi volontari, alle istituzioni, uomini e donne, giovani e adulti che si stanno donando per il bene e la salute di tutti”.
Il vescovo fa una battuta: “Credo che il diavolo, all’inizio della pandemia e dei contagi, fosse contento nel vedere le chiese vuote e la gente non accostarsi più ai sacramenti. Ora, credo che lo sia molto meno! In questo tempo è cambiato il cuore e lo stile di vita di tante persone, meno preoccupate di se stesse e più attente alle necessità e bisogni degli altri. Molti, poi, stanno percependo che nella vita manca la cosa più importante, che c’è bisogno di una Parola che dia significato e illumini il cammino, di una relazione con Dio che dia forza e coraggio nell’affrontare le difficoltà, di un Pane spezzato che ci apra a desiderare il cielo, di sentire vicino l’unico che ha vinto la morte: Gesù”.