“È una proposta che va assolutamente contro la salute delle donne”. Risponde così Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e responsabile dell’Hospice perinatale del Policlinico Gemelli, all’appello lanciato ieri dai ginecologi italiani di fare maggiormente ricorso, in caso di necessità, all’aborto farmacologico durante l’emergenza coronavirus. “È un’affermazione – sostiene il medico – che non tiene conto in nessun modo di quanto la letteratura internazionale dice e conferma ormai da anni su questo punto: e cioè che l’aborto farmacologico risulta dieci volte più pericoloso di quello chirurgico”. Noia sottolinea poi un altro aspetto estremamente pericoloso legato proprio al farmaco abortivo: “Non si contempla in nessun modo la sicurezza della donna, perché spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane ed eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione aumenta in maniera esponenziale il rischio di emorragie e di tutta un’altra serie di patologie che provocano nella donna una sorta di immunodepressione pericolosissima. Insomma, mi pare che si dovrebbe difendere la salute delle donne, invece di comprometterla seriamente. Soprattutto mi sembra che lo si faccia solo per motivi politici o ideologici”. E poi, aggiunge, “come non constatare che in questo modo l’aborto torna, di fatto, ad essere praticato nella clandestinità”?
Ad aggravare la situazione anche un altro aspetto spesso sottovalutato ma estremamente importante: la solitudine. “L’aborto farmacologico – afferma Noia – aumenta in maniera esponenziale la solitudine della donna, lasciata sola ad affrontare questo momento. Questo genera in lei tutta una serie di problemi di tipo psicologico difficili da affrontare, che lasciano a volte segni indelebili e patologie che durano anni e anni. Abbiamo riscontri concreti che la solitudine è la fonte principale di tutta una serie di problemi mentali per le donne e le loro famiglie. Questa è una cultura che dimentica la persona: dall’embrione alla donna. Se poi tutto questo viene posto in essere per rendere più efficiente un ospedale, per decongestionare reparti e alleggerire i medici è eticamente assurdo. Non si può annullare o curare un male provocandone uno peggiore”.
Come medico e scienziato, Noia torna sul possibile legame Covid-19 e gravidanza e sugli eventuali problemi legati a questo rapporto. “Vorrei ribadire prima di tutto quanto dice la letteratura internazionale su Covid-19 e gravidanza, perché a tutt’oggi non risulta automatico il passaggio del virus dalla madre al bambino per tutti i trimestri della gravidanza. E questo – chiarisce – lo attestano i dati provenienti da Wuhan, in Cina, e in Italia dalla Lombardia su tutti i bambini nati in quelle zone e durante la pandemia. Bambini liberi dal virus di cui non è stata trovata traccia nel latte materno, nel sangue, nel liquido amniotico e in tutto il resto. Inoltre, non vi è stato aumento di malformazioni o di abortività come era stato riferito per altre infezioni virali, come la Sars ad esempio. È stato solo riscontrata una lieve tendenza al parto prematuro, ma anche questo dato perfettamente compatibile con la presenza di infezioni virali”. “L’unica accortezza – conclude – è relativa all’allattamento, che viene inizialmente e temporaneamente effettuato in maniera indiretta, cioè fornito al bambino tramite biberon, in attesa di riunificare mamma e piccolo per una normale crescita del neonato”.