“Abbiamo solo 3 ventilatori su una popolazione di 5 milioni di persone, la terapia intensiva non esiste, ci sono pochissimi letti e mancano medici e infermieri. Lo Stato sa che se scoppiasse l’emergenza sarebbe un disastro”. Lo dice al Sir padre Federico Trinchero, del monastero del Carmelo di Bangui. Nella Repubblica Centrafricana sono stati segnalati finora 8 casi di Covid-19, di cui due residenti a Bangui, che confermano l’esistenza di una trasmissione locale. “È paradossale essere messi meglio dell’Europa – afferma il missionario piemontese, da 11 anni in Centrafrica -. Per una volta chi soffre non è l’Africa. Ma non dimentichiamo che l’Africa resta povera e lo sarà ancora di più se esploderà anche questa crisi”.
Dal 27 marzo il governo ha chiuso le scuole di ogni ordine e grado, i bar, i ristoranti, le discoteche. Tutti i voli sono stati bloccati, le frontiere chiuse. I prezzi dei beni essenziali già stanno aumentando. In Centrafrica il 50% della popolazione ha meno di 18 anni, per cui il virus potrebbe colpire meno, stando ai trend. Ma 2,2 milioni di persone vivono già in condizioni precarie, 700.000 sono sfollati a causa delle violenze dei vari gruppi armati che per anni hanno seminato il terrore. Abitano in campi sovraffollati con poca acqua e scarsa igiene, per cui le misure di prevenzione come il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale sono di difficile realizzazione. Un altro problema sono i trasporti: le persone si spostano su “taxi- moto”, che possono trasportare anche tre o quattro persone e i taxi collettivi portano fino a 8, mentre i minibus arrivano a 15 posti. “Sono sempre strapieni – avverte il religioso -, bisognerà intervenire e fare attenzione”. A livello ecclesiale l’arcidiocesi di Bangui ha dato disposizioni di seguire le celebrazioni attraverso le due radio cattoliche. Seminari e conventi sono chiusi, sacerdoti e religiosi in quarantena a casa. I suoi confratelli sostengono che il virus non verrà “perché qui c’è più fede e preghiera”: “Lo speriamo – afferma padre Trinchero – perché sarebbe una catastrofe in un Paese già segnato da guerra e povertà. Ricordiamo poi che abbiamo già migliaia e migliaia di bambini e adulti che muoiono per le epidemie di morbillo, la malaria, la tubercolosi, ma non fanno notizia”. Anche se, conclude, gli africani sono più preparati a vivere situazioni di emergenza e di precarietà: “Abbiamo vissuto una guerra da poco, siamo abituati a stare in casa anche per 40 giorni”.