Papa Francesco: udienza, “per vedere Dio non serve cambiare occhiali, bisogna liberare il cuore dai suoi inganni”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Per vedere Dio non serve cambiare occhiali o punto di osservazione – o cambiare autori teologici che mi insegnano il cammino – bisogna liberare il cuore dai suoi inganni!”. Lo ha esclamato il Papa, nella catechesi dell’udienza generale di oggi, dedicata alla sesta Beatitudine – “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” – e trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata del Palazzo apostolico. “Questa strada è l’unica”, ha commentato Francesco a braccio: “Questa è una maturazione decisiva: quando ci rendiamo conto che il nostro peggior nemico, spesso, è nascosto nel nostro cuore”. “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”, dice un salmo. “Questo linguaggio”, per il Papa, “manifesta la sete di una relazione personale con Dio – non meccanica, un po’ nebulosa, personale – che anche il libro di Giobbe esprime come segno di un rapporto sincero: ‘Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto’” . “E tante volte – ha commentato Francesco a braccio – io penso che questo è il cammino della vita nel nostro rapporto con Dio. Conosciamo Dio per sentito dire, ma con la nostra esperienza andiamo avanti, avanti, avanti e alla fine lo conosciamo veramente, se siamo fedeli. Questa è la maturità dello Spirito”. “Come arrivare a questa intimità?”, si è chiesto il Papa. L’esempio scelto per la risposta è quello dei discepoli di Emmaus, “che hanno il Signore Gesù accanto a sé, ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Il Signore schiuderà il loro sguardo al termine di un cammino che culmina con la frazione del pane ed era iniziato con un rimprovero: ‘Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti’”. “Quel rimprovero è l’inizio”, ha spiegato Francesco: “Ecco l’origine della loro cecità: il loro cuore stolto e lento”. “E quando il cuore è stolto e lento, non si vedono le cose, si vedono le cose come annuvolate”, ha commentato a braccio: “Qui sta la saggezza di questa beatitudine: per poter contemplare è necessario entrare dentro di noi e far spazio a Dio, perché, come dice Sant’Agostino, ‘Dio è più intimo a me di me stesso’”.

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