Ancora una volta, come già domenica scorsa, siamo invitati a leggere il male con uno sguardo finalistico, e non causale: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato” (Gv 11, 4).
Verrà un bene dal male, una luce dall’oscurità – ma questo non significa che ciò sarà semplice, o gratis.
Smentendo del tutto quelli che immaginano una divinità pagana che manda strali per punire, oggi vediamo un Dio che, anche se sa che vincerà, sta comunque male per come (e dove) è finito l’uomo, perché “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (Sap 1, 13).
“Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: ‘Dove lo avete posto?’. Gli dissero: ‘Signore, vieni a vedere!’. Gesù scoppiò in pianto” (Gv 11, 33-35).
Il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima ci mostra un Dio che piange per l’uomo che muore, perché non avrebbe mai voluto per lui un destino triste e squallido come la fossa, ma anche che piange per quelli che restano, per il loro lutto, per la loro pena, per la loro fatica di andare avanti. L’Incarnazione comporta questo: Dio ha accettato di vivere tutte le dimensioni della fragilità umana.
Dio sa, perché ha accettato di assumere in sé tutto questo, cosa si prova a perdere una persona cara, a non averle potuto dire addio, a non aver potuto nemmeno assistere al suo funerale… Dio sa, perché l’ha vissuto, cosa sta provando tanta gente in questi giorni strani e tristi, i giorni del coronavirus.
Lo sguardo pasquale, che riconosce il bene nel male, è autentico se prende sul serio il male: questa quarantena non è una vacanza, è l’imposizione dovuta a una situazione calamitosa e per molti mortale. Potremo andare oltre il male e compiere il passaggio pasquale, solo se accettiamo di guardare in faccia il male con serietà – altro che corsette e flash mob dai balconi! Solo se accettiamo di farci carico sul serio di questa situazione potremo contribuire a convertirla con l’amore, un amore che, come quello di Cristo sulla Croce, ci richiede e richiederà sacrifici. Gesù l’ha pagata cara, la salvezza dell’uomo: la morte gli presenterà il conto per quest’uomo che Lui le strappa, e Lui questo conto lo pagherà sulla Croce.
Niente facili supereroismi: amare a costo zero non sarebbe stato amare.
Teniamolo presente nei prossimi giorni, se dovesse finire la Quaresima ma non la quarantena. Per convertire la morte in vita occorre pagare un conto sulla propria pelle, e questo non ci deve turbare, perché è invece il segno della nostra vera grandezza, la nostra somiglianza con Dio: noi, come Lui e da Lui, abbiamo il potere di dare la vita, nel duplice significato di dare via la nostra perché qualcun altro viva.