Domenica, alla preghiera dell’Angelus, il Santo Padre ha invitato tutti i credenti a unirsi a lui in una grande preghiera di intercessione a Dio per rispondere alla minaccia della pandemia con l’universalità della preghiera, della compassione e della tenerezza. A qualcuno potrebbe sembrare un ritirarsi nello spirituale di fronte alla minaccia incombente, una sorta di fuga nel deserto, luogo solitario e sicuro, mentre altri sono in prima linea a combattere contro un potente e invisibile nemico. In realtà la preghiera di intercessione è tutto meno che una ritirata nell’intimità di un rapporto solo interiore con Dio.
Intercedere infatti, dal latino inter (in mezzo) – cedere (andare, passare) significa al contrario andare in mezzo, stare in mezzo. Proprio per questo il primo e più efficace intercessore è Gesù Cristo, egli infatti “sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Rm 8,34), proprio perché “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) “come uno che serve” (Lc 22,27).
Intercessione, presenza e servizio sono dunque inscindibili.
La Chiesa vive questa missione di essere in mezzo con modalità diverse a seconda dei momenti, dei carismi e dei compiti di ciascuno: è presente con le sue strutture di carità e con l’esercizio della compassione e della tenerezza di tanti sacerdoti, volontari laici e religiosi/e; con la presenza capillare delle comunità cristiane sul territorio; con l’abnegazione di molti operatori sanitari che stanno trovando nella fede il sostegno in mezzo a tanta fatica e dolore. La comunità cristiana con i suoi pastori sa poi stare in mezzo alle situazioni e alla sofferenza con una modalità del tutto singolare, che è quella della preghiera, con la quale i cristiani supplicano Cristo, e per mezzo di lui il Padre, per il mondo intero. La voce della preghiera della Chiesa diventa così anche la voce di Cristo, che continua a intercedere per noi con quelle preghiere e suppliche che egli offrì nei giorni della sua vita terrena (Eb 5,7). Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica che la Chiesa obbedisce al comando di Gesù di guarire gli infermi (Mc 10,8) e lo attua “sia attraverso le cure che presta ai malati, sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi” (n. 1509).
Venerdì si ripresenterà l’episodio narrato al capitolo 17 del libro dell’Esodo, nel quale mentre Giosuè combatte contro i nemici di Israele, Mosè sul monte innalza le mani per invocare da Dio la vittoria. Lotta sul campo e mani alzate nella preghiera non sono alternative o contrapposte, ma modalità diverse che si sostegno a vicenda e aprono i nostri occhi alla speranza.