Primi due casi di coronavirus sono confermati nella Striscia di Gaza: si tratta di due gazawi di ritorno dal Pakistan trovati positivi ieri al controllo del valico di Rafah, al confine con l’Egitto. I due attualmente si trovano in quarantena in una sorta di “check point sanitario” realizzato nel valico per contrastare la pandemia e impedirne la diffusione nella Striscia. Lo ha reso noto il ministero della Salute a Gaza. Nella Striscia vivono oltre due milioni di palestinesi in 375 km quadrati, uno dei luoghi più sovraffollati e poveri al mondo. Segnata da guerre e campagne militari (2008, 2012, 2014) con il confinante Israele, Gaza segna tassi di disoccupazione e di povertà superiore al 70%, il suo sistema sanitario è insufficiente e incapace di fornire cure adeguate ai suoi abitanti, molti dei quali sono costretti a cercare cure altrove. Inoltre dal 2007, da quando Hamas ne ha preso il controllo, sulla Striscia vige un embargo imposto da Israele che limita l’ingresso di merci e la mobilità dei suoi abitanti. La diffusione del coronavirus entro la Striscia avrebbe conseguenze catastrofiche per la popolazione. “È un miracolo – conferma al Sir il parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli – che non ci siano casi di Coronavirus dentro la Striscia. Sarebbe devastante un’epidemia adesso”. Nei giorni scorsi Hamas ha disposto la chiusura dei scuole, mercati di strada e dei ritrovi per i matrimoni. “Le banche – aggiunge il parroco – hanno chiuso le loro filiali, lasciando aperte le sedi più grandi. Molte aziende hanno chiesto ai loro dipendenti di lavorare da casa. Da oggi anche alcuni nostri dipendenti della parrocchia. Ci aspettiamo per i prossimi giorni più restrizioni, addirittura c’è chi parla di coprifuoco, ma è presto per dirlo. Di ufficiale non c’è nulla”. Nella parrocchia di Gaza (solo 117 cattolici) da tempo sono in vigore misure volte al contenimento del virus emanate dal Patriarcato latino di Gerusalemme. Intanto l’Autorità nazionale palestinese ha disposto la chiusura completa della Cisgiordania. Possono restare aperti solo i negozi di generi alimentari e forni. Chiuse anche tutte le istituzioni private e pubbliche. Tali disposizioni vanno ad aggiungersi a quelle emanate nei giorni scorsi e che avevano già drasticamente limitato gli spostamenti nel Governatorato di Betlemme, che con i suoi 37 casi sui 59 totali in Cisgiordania, è il focolaio del virus nei Territori Palestinesi. Per le ultime restrizioni l’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrà interfacciarsi con lo Stato di Israele che, sulla base degli Accordi di Oslo del 1993, è responsabile della sicurezza di diversi villaggi palestinesi. A tale riguardo l’Anp ha affermato che i due Paesi “si stanno coordinando al livello più alto per contenere il virus”. Fonti locali, interpellate dal Sir, hanno confermato che “tra i Palestinesi si sta diffondendo una grande paura dovuta all’insufficienza di strutture mediche. In tutta la Palestina sarebbero solo 120 i respiratori disponibili”.