“Il miracolo che qui si rinnova sempre, in questi giorni si rafforza. Non c’è disperazione ma la volontà di andare avanti”. E’ sera, e al telefono la voce è sonora e forte, ma si emoziona e si fa quasi concitata quando dice: “Io credo che finita questa esperienza, non si potrà più essere come prima”. Padre Carmine Arice – Superiore generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza – racconta il Cottolengo che non ha smesso di vivere nemmeno un istante, seppur circondato da una città nella quale la vita sembra sospesa: Torino in quarantena, dalle strade vuote, con le fabbriche quasi ferme e la gente chiusa nelle case. Covid-19 è entrato anche nella Piccola Casa. Eppure ha già perso la sua battaglia.
Padre com’è la situazione all’interno del Cottolengo?
“Continuiamo ad offrire la nostra assistenza, anche se abbiamo quasi annullato l’attività sanitaria ordinaria dell’ospedale. Abbiamo invece aperto la nostra struttura per accogliere pazienti non contagiati che comunque hanno bisogno urgente di cure. E ci stiamo attrezzando anche per creare un reparto per sospetti contagiati, che possano essere trovati al nostro interno visto che fra ospiti, operatori e volontari ogni giorno qui ci sono oltre duemila persone su 112mila metri quadrati”.
Non avete solo l’ospedale.
“Certo. Abbiamo una scuola elementare e media con 400 allievi che adesso sono seguiti via web. E abbiamo ospiti circa 400 anziani laici e altrettanti religiosi. Si tratta di una popolazione fragile, alcuni sono molto anziani, già con altre patologie. E questo ci preoccupa molto”.
Avete avuto molti contagiati?
“Per ora direi di no. Fra gli ospiti anziani nessuno, alcuni fra gli operatori e tre religiose che però non sono venute a contatto con gli ospiti”.
Quali sono i problemi che avete?
“Quelli di tutti: la disponibilità di personale di attrezzature. Il materiale è praticamente finito. Abbiamo acquistato un carico di mascherine in Svizzera che è bloccato al confine. Poi c’è il personale che ogni giorno si riduce per motivi diversi”.
Padre come passa la sua giornata?
“Inizio alle sei con la preghiera e vado avanti fin che serve; alle 12 dico Messa all’altare del Cottolengo per tutta la Piccola Casa nel mondo e alle 16 il rosario in filodiffusione per tutti: malati, operatori, religiosi, istituzioni…. Vede, uno dei miei compiti principali è sostenere chi lavora qui e nelle altre nostre case: si tratta di persone eccezionali, che tuttavia hanno bisogno anche di conforto. Più in generale abbiamo creato un comitato di crisi, e cerchiamo di monitorare la situazione che cambia ogni giorno. E si aggrava”.
Qual è il senso di tutto questo?
“Io, noi, viviamo ogni giorno un miracolo che non rende le cose più facili, ma dà un senso a quanto facciamo. Noi siamo sostenuti da uno spirito universale e religioso, che ci deriva dal senso della stessa vita del Cottolengo che è morto prendendosi cura di persone infette. Se ci si pensa bene, oggi viviamo una situazione simile: dobbiamo dare conforto in un momento nel quale un’epidemia sconvolge la nostra città e il mondo. Non siamo votati al suicidio, ma siamo attenti al valore che ha fatto costruire questa casa”.
C’è la Provvidenza in tutto questo?
“Io vedo la Provvidenza incarnarsi in tutte le persone che passano di qui.
Oggi con più forza. Ma attenzione, anche noi affrontiamo i problemi di tutti. Anche noi abbiamo bisogno di mascherine e di camici, mentre dobbiamo fare i conti con un sistema sanitario nazionale che non sempre ci guarda di buon occhio. Covid-19 non si vince solo con le preghiere”.
E la città?
“Tutta Torino, tutti noi stiamo vivendo una grande scuola di sapienza. Ci stiano educando a capire ciò che vale, e rimane, e ciò che non vale, e passa. Stiamo vivendo una sorta di grande esercizio spirituale, profondo e vissuto come non mai. Dobbiamo avere l’umiltà di metterci all’ascolto di questa scuola di sapienza. E credo che si stia riscoprendo il valore dell’uomo, dei rapporti umani veri, della solidarietà. Certo, occorre volerlo fare”.
E dopo? Quando tutto finirà?
“Io credo che, finita questa esperienza, non si potrà più essere come prima. Io ho incontrato diverse persone che hanno vissuto la guerra e i campi di concentramento. Queste, una volta passata quell’esperienza, una volta a casa, sono state capaci di avere uno guardo nuovo sul mondo e sulla vita. Ecco, io credo che possa accadere così anche oggi. Certo non bisogna banalizzare nulla, ma vivere quanto ci sta capitando con attenzione umana profonda. Viviamo un male che può trasformarsi in un dono per tutti. C’è un disegno provvidenziale, dove la Provvidenza non vuole il male ma permette che anche il male porti al bene”.
Padre con quante persone ha parlato oggi?
“Tantissime e di tutti i generi e con tutte le richieste possibili. Pensi, una persona mi ha chiamato per dirmi che aveva solo bisogno di piangere un attimo. Dopo averlo sentito piangere gli ho detto: adesso ripartiamo!”.