Carceri in rivolta dopo la sospensione dei colloqui per l’emergenza coronavirus. Un’ondata di violenza che va da Nord a Sud e che conta diverse vittime (Modena) e anche un tentativo di fuga (Ucciardone a Palermo). Su quanto sta avvenendo abbiamo sentito l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi.
Don Raffaele, innanzitutto un pensiero per chi si trova in prima linea a combattere le violenze…
In questo particolare momento in cui si susseguono eventi critici in vari istituti penitenziari del nostro Paese, determinati dai provvedimenti assunti in merito alle misure di contenimento e contrasto del diffondersi del Covid-19, vorrei esprimere la mia vicinanza a tutta la Polizia penitenziaria, Direzioni delle carceri, cappellani e operatori tutti, che vi trovate in prima linea a fronteggiare questa crisi con coraggio. È una situazione così delicata perché non è facile contenere le violenze nelle carceri e placare gli animi essendo in pochi.
Cosa si sente di dire ai detenuti?
Rivolgo loro un appello: come in tutta Italia ci sono state ristrettezze per tutti, dalla sospensione delle messe alla chiusura di scuole, università e luoghi di svago come le discoteche, pure
il carcere deve affrontare delle rinunce come il resto della società.
Anche i detenuti devono comprendere la situazione e che le misure adottate sono per il loro bene. Comprendo il malessere che causa non avere colloqui con i familiari, ma in questo momento, in cui tutti dovremmo rispondere all’appello delle autorità di rimanere il più possibile in casa per il bene nostro e di tutti, soprattutto delle fasce più deboli, e anche noi come Chiesa con senso di responsabilità abbiamo accolto la richiesta di non celebrare pubblicamente la messa, i detenuti devono comprendere la necessità di fare la loro parte.
Un problema è anche il sovraffollamento…
Certamente, è anche il momento di favorire le misure alternative: sarebbe auspicabile applicarle soprattutto per chi gode della semilibertà e per chi sta alla fine della pena, in questo modo si alleggerirebbe la situazione all’interno delle carceri, che vivono criticità legate al sovraffollamento. Ma questo non giustifica, da parte dei detenuti, violenza e prevaricazione che fa ulteriormente aggravare le condizioni delle carceri. D’altra parte, è il momento di assumere, da parte di chi ha il potere, decisioni forti e anche impopolari.
Le criticità in atto, infatti, se non affrontate con scelte mirate, rischiano di far diventare le nostre carceri “polveriere” di rabbia e di violenza.
Il mio auspicio è che il Signore possa illuminare e guidare coloro che hanno la responsabilità di offrire risposte urgenti, senza essere ostaggio di prepotenze e di ricatti, affinché si possano ristabilire la tranquillità e il dialogo per un lavoro sereno per tutti.
Si può ovviare in qualche modo all’impossibilità dei colloqui nelle carceri?
C’è lo sforzo, da parte delle Direzioni delle carceri italiane, di far sì che aumentino telefonate, collegamenti Skype con le famiglie, anche se molti dei nostri istituti non sono attrezzati per tutto questo. Perciò,
ci troviamo in una situazione di grande precarietà per affrontare l’emergenza.
È vietato a tutti entrare nelle carceri?
I cappellani, facendo parte dell’Amministrazione penitenziaria, sono gli unici che possono entrare, ma chiaramente sono sospese le attività di catechesi e le celebrazioni. Ai cappellani ho chiesto di intensificare ancora di più la loro presenza in questo periodo particolare di fragilità, di paura, di angoscia, ovviamente rispettando le disposizioni governative per le distanze di sicurezza che aiutano a evitare il contagio. Vogliamo far capire così ai detenuti che siamo accanto a loro, che non li abbandoniamo: il mondo del carcere è già un mondo di grande isolamento ed emarginazione e questa situazione, purtroppo, inevitabilmente, aggrava la condizione di chi ci vive. Ma, ancora una volta, ribadisco ai detenuti che tutto ciò è per il loro bene e che devono condividere con il resto della società i sacrifici che il momento richiede a tutti.