“L’amarezza – che non è una colpa – va accolta. Può essere una grande occasione. Forse è anche salutare, perché fa suonare il campanello d’allarme interiore: attento, hai scambiato le sicurezze con l’alleanza, stai diventando ‘stolto e tardo di cuore’”. Lo spiega il Papa, nel discorso preparato per l’odierna liturgia penitenziale con il clero romano, letto nella basilica di San Giovanni in Laterano dal cardinale vicario, Angelo De Donatis. “Un sottile nemico che trova molti modi per camuffarsi e nascondersi e come un parassita lentamente ci ruba la gioia della vocazione a cui un giorno siamo stati chiamati”: così il Papa definisce l’amarezza, soffermandosi sulle tante “amarezze” che possono insinuarsi nella vita di un prete. “Guardare in faccia le nostre amarezze e confrontarsi con esse ci permette di prendere contatto con la nostra umanità, con la nostra benedetta umanità”, esordisce Francesco sulla scorta di Ireneo di Lione: “E così ricordarci che come sacerdoti non siamo chiamati a essere onnipotenti ma uomini peccatori perdonati e inviati”. “C’è una tristezza che ci può condurre a Dio”, la tesi del Papa: “Accogliamola, non ci arrabbiamo con noi stessi. Può essere la volta buona”. Anche San Francesco, del resto, lo ha sperimentato, e nel suo testamento ce lo ricorda: “L’amarezza si cambierà in una grande dolcezza, e le dolcezze facili, mondane, si trasformeranno in amarezze”. “È il Signore che ci ha delusi oppure noi abbiamo scambiato la speranza con le nostre aspettative?”, il primo interrogativo da porsi: “La speranza cristiana in realtà non delude e non fallisce. Sperare non è convincersi che le cose andranno meglio, bensì che tutto ciò che accade ha un senso alla luce della Pasqua”.
“Che differenza c’è tra aspettativa e speranza?”, si chiede Francesco: “L’aspettativa nasce quando passiamo la vita a salvarci la vita: ci arrabattiamo cercando sicurezze, ricompense, avanzamenti… Quando riceviamo quel che vogliamo sentiamo quasi che non moriremo mai, che sarà sempre così! Perché il punto di riferimento siamo noi”. La speranza, invece, è “qualcosa che nasce nel cuore quando si decide di non difendersi più”: “Quando riconosco i miei limiti, e che non tutto comincia e finisce con me, allora riconosco l’importanza di avere fiducia”. “Diffidare di sé, confidare in Dio”, l’itinerario da compiere: . “Spero non quando non c’è più nulla da fare, ma quando smetto di darmi da fare solamente per me. La mia vita è gustosa se faccio Pasqua, non se le cose vanno come dico io”.