Al di là dell’orizzonte azzurro che si staglia davanti ai nostri occhi, vi sono popoli viventi che si affacciano sul mare nostrum o il Grande Lago di Tiberiade, come lo definiva Giorgio La Pira. È vero che non sempre ci sono contatti diretti con gli abitanti delle altre sponde, ma possiamo interrogarci: abbiamo coltivato in questo tempo la consapevolezza che, al di là del mare, esistono comunità cristiane, custodi di tanta ricchezza, che vivono con tante difficoltà il Vangelo e che attendono forse il tempo propizio, per incontrare altri fratelli e sorelle credenti in Gesù Cristo?
In questi ultimi anni abbiamo identificato i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con i deserti o con i luoghi di conflitti e di guerre, con i campi di detenzione o di violenze, di coacervi di migranti assiepati, spesso torturati non solo fisicamente, ma anche distrutti nella loro dignità. Quasi ogni giorno raccogliamo notizie riguardanti persone che fuggono dai loro paese e che, purtroppo, molte volte, muoiono in mare.
Tali eventi drammatici hanno sfiorato la nostra sensibilità o sono rimasti solo fatti di cronaca?
Anche noi cristiani spesso siamo rimasti ad ascoltare o a leggere gli avvenimenti inerenti a donne soggette a violenze o a bambini che da soli hanno lasciato le loro famiglie, per paura di vivere in condizioni disumane. Non sempre abbiamo avuto il coraggio di alzare in coro la nostra voce con determinazione, spinti dal comandamento dell’amore di Gesù Cristo, per far sentire con le parole o con la preghiera tutta la vicinanza a coloro che cercano la pace.
Chissà quanti cristiani tendono le loro mani verso di noi, per condividere il cammino di fede, la solidarietà, pur nella distanza, per sperimentare realmente la bellezza di appartenere ad un unico popolo di Dio. Guardando il logo dell’evento si notano le mani che si protendono le une verso le altre, per accogliersi e per aiutarsi a guardare verso la stessa direzione.
Vivere a Bari l’incontro dei Vescovi che si affacciano sul Mediterraneo, quale evento profetico, allarga lo sguardo, dona una visione globale della realtà, fa sentire l’impulso dello Spirito che spinge a scrutare gli orizzonti. Permette di intravvedere nel Pastore di ogni chiesa particolare le comunità cristiane di cui non conosciamo il volto, formate dai fratelli e dalle sorelle nella fede che vivono al di là del nostro mondo. Sono coloro che possono dire qualcosa di nuovo del Vangelo a noi che spesso rischiamo di non meravigliarci più della Parola che il Signore ci dona ogni giorno e che aspetta di essere incarnata.
L’esperienza sinodale dei Pastori ci interpella come laici e consacrati.
Abbiamo bisogno di metterci in ascolto dello Spirito, per verificare come in luoghi diversi si vive in Dio e come si dice Dio oggi. Le comunità contemplative, consapevoli della loro missione, sono costantemente con le braccia alzate verso il Signore, perché mandi lo Spirito a guidare i vari incontri, per andare verso gli altri senza pregiudizi, con il cuore abitato dalla grazia. I monasteri, separati e non esclusi dalla vita ecclesiale, continuano ad intercedere presso Dio, perché lo Spirito parli al cuore dei credenti, per incarnare con passione il Vangelo nel quotidiano, laddove sono presenti.
Tutti siamo chiamati dallo Spirito a riscoprirci parte dell’unico popolo di Dio, tesi verso un grande abbraccio che parte da Cristo e che prende forma oggi in ogni luogo, per custodire ovunque l’umanità e il creato, doni dell’Altissimo.
Tutti siamo impegnati a vivere relazioni evangeliche con ogni persona, al di là del credo e della provenienza, partendo dal riconoscimento e della custodia dell’esistenza delle donne e degli uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio, ubicati in ogni parte del mondo. Solo con questa consapevolezza ognuno può sperimentare il senso di appartenenza universale benedetta dallo Spirito con atteggiamento di meraviglia e di sorpresa, di ascolto e di accoglienza dell’altro, e scoprire di avere, al di là del mare, fratelli e sorelle in Cristo.