(da Bari) Nei Paesi “dove spesso la loro esistenza è messa a rischio, le comunità ecclesiali sono un esempio di fedeltà al Vangelo”. È l’omaggio di Pina De Simone, coordinatrice del biennio di specializzazione in Teologia fondamentale della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale sezione San Luigi, alle “chiese di minoranza”, ma “dal carattere universale”, grazie al “pullulare di lingue, culture, etnie”. “Come accade in Grecia – ha detto la relatrice introducendo la seconda giornata dell’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, promosso dalla Cei a Bari – dove il numero dei cattolici si è quadruplicato negli ultimi anni. O in Turchia, dove i profughi cristiani, che i giochi dei potenti hanno portato lì, sono persone che hanno perso tutto ma sono rimasti fedeli a Cristo e sono portatori di antiche e significative tradizioni. Ma anche in Marocco, dove i cattolici provengono da oltre 100 Paesi e da tutti i continenti e dove l’impegno è incontrarsi, conoscersi, rispettarsi, amarsi, trasformare le differenze in arricchimento e testimoniare con la vita che l’umanità è una famiglia, la famiglia dei figli di Dio”. Senza contare “le scuole interetniche di Sarajevo, l’impegno formativo della Chiesa in Terra Santa, il lavoro educativo che nella semplicità viene portato avanti da parrocchie e ordini religiosi in tanti luoghi del Mediterraneo e che è per tutti senza distinzione alcuna”. “Essere Chiesa dell’incontro”, ha spiegato De Simone, vuol dire offrire ai giovani “itinerari formativi” che li aiutino prima di tutto ad “attraversare le paure: la paura di perdere la propria identità, la paura che cambino le cose, la paura di lasciarsi cambiare”. Una Chiesa che “sta in mezzo” al Mediterraneo, ha concluso la relatrice, “sta dalla parte degli ultimi e dei poveri. Come questo mare su cui si affacciano i nostri Paesi”.