Cinema Italia. Dopo l’abbuffata di titoli da Oscar delle ultime settimane, ecco in evidenza alcuni film italiani nelle nostre sale tutti giocati tra amicizia, amore e dinamiche familiari: la commedia su note drammatiche “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino con il quartetto Favino, Ramazzotti, Rossi Stuart e Santamaria; la commedia sugli affanni genitoriali “Figli” di Giuseppe Bonito da un testo di Mattia Torre; il rapporto padre-figlio nel road movie “Il ladro di giorni” di Guido Lombardi. Il punto del Sir e della Commissione nazionale valutazione film Cei.
“Gli anni più belli”
Dalla canzone di Claudio Baglioni arriva il titolo dell’ultimo film di Gabriele Muccino “Gli anni più belli”. Come sempre, è un racconto giocato tra commedia e dramma, con pennellate mélo; è la storia di una grande amicizia, di quattro ragazzi (Giulio, Gemma, Paolo e Riccardo) che percorrono insieme, dagli anni ’80 a oggi, il cammino della vita, dai sogni d’infanzia alle amarezze dell’età adulta. Ambientato a Roma, il film mette in scena la febbre giovanile, la voglia di arrivare, gli amori pulsanti ma anche gli inciampi dolorosi; come ricorda lo stesso regista Muccino: “Il film è un grande affresco che racconta chi siamo, da dove veniamo e anche dove andranno e chi saranno i nostri figli”. A ben vedere, grande protagonista del racconto è la città di Roma, che condivide dunque la scena con il legame di amicizia tra i quattro. Tra gli omaggi cinematografici in primo piano figura “C’eravamo tanto amati” (1974) di Ettore Scola, punto di riferimento di qualunque vicenda tra storia e realtà; accanto allo sguardo di Scola, poi, si colgono riferimenti anche al cinema di Mario Monicelli, Dino Risi e Luigi Comencini. Di fronte alla necessità di rappresentare una generazione priva dei puntelli del passato e afona di fronte alle richieste del futuro, Muccino si rifugia su Roma, la cui millenaria solidità regge a ogni cambiamento e permette ai quattro ragazzi, ormai cresciuti, di ritrovarsi in trattoria e cantare tutti insieme “La società dei magnaccioni”. In mezzo commozione, emozioni, un’idea di memoria difficile da cancellare; il tutto affidato a un solido e ben amalgamato gruppo di interpreti composto da Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria. Nel complesso il film si dimostra trascinante e malinconico insieme, con pagine di racconto realistiche unite ad altrettante più intrise di artificio narrativo; dal punto di vista pastorale “Gli anni più belli” è complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“Il ladro di giorni”
di Guido Lombardi ha vinto il Leone del Futuro alla 68ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia con il suo folgorante esordio “Là-bas. Educazione criminale”. Un opera dura, marcata da forte realismo, un tratto ricorrente nella poetica del regista che emerge anche nei titoli successivi. Ora è in sala “Il ladro di giorni”, film che prende le mosse dall’omonimo romanzo di Lombardi; al centro del racconto c’è sempre il dissidio tra bene e male, tra giustizia e illegalità. Protagonista è Salvo (Augusto Zazzaro), un bambino di dieci anni cresciuto con gli zii, perché rimasto orfano di madre e con un padre in prigione di cui non ha praticamente ricordi. Un giorno l’uomo, Vincenzo (Riccardo Scamarcio), uscito di galera si presenta a casa da Salvo con la proposta di passare un paio di giorni insieme, un modo per riprendere il dialogo bruscamente interrotto. È l’inizio in verità di un road movie lungo il Paese, segnato anche da momenti di tensione dovuti al fatto che Vicenzo non è ancora del tutto libero dai suoi reati.
Il film è tutto incentrato sul rapporto padre-figlio, sull’urgenza di ricostruire un legame sfilacciato, al punto da essere quasi inesistente; è un incontro che spiazza quello tra Vincenzo e Salvo, che scoperchia traumi sopiti. Non tutto vira in negativo, perché nel cuore del bambino si fa strada anche il bisogno di tenerezza, il desiderio di riabbracciare comunque quel padre che la vita gli ha dato. La via della delinquenza però non ammette sconti, per nessuno…. L’idea di Lombardi è senza dubbio valida e interessante, ma il suo svolgimento risulta assai fragile e poco convincente; il regista vuole dire molto, troppo, ma sovraccarica il film facendolo sbandare. Dal punto di vista pastorale, “Il ladro di giorni” è complesso, problematico e per dibattiti.
“Figli”.
Commuove sapere che “Figli” è l’ultimo lavoro del talentuoso regista-sceneggiatore Mattia Torre, scomparso a quasi cinquant’anni per una malattia inclemente che aveva anche raccontato nella serie Tv Rai “La linea verticale”(2018). A firmare il suo film è Giuseppe Bonito (“Pulce non c’è”, 2012), un testo nato dal monologo di Valerio Mastandrea per lo show Sky “E poi c’è Cattelan”. La storia: Nicola (Valerio Mastandrea) e Sara (Paola Cortellesi) sono due quarantenni, sposati da tempo e con una bambina di sei anni; il loro equilibrio viene sconvolto dall’arrivo di un secondo bambino. Le dinamiche familiari si complicano e dal passato emergono ulteriori dissapori. Muovendosi sul binario della commedia graffiante ed esilarante, “Figli” regala una serie di suggestioni interessanti sulla cura del rapporto di coppia e sul compito-responsabilità genitoriale. Un racconto agrodolce, che fotografa bene (ma anche colora) la realtà odierna, che dal punto di vista pastorale è da valutare come consigliabile, problematico e per dibattiti.