Questa settimana cinematografica si è aperta all’insegna delle nomination degli Oscar, annunciate lo scorso 13 gennaio in vista della cerimonia che si terrà a Los Angeles il prossimo 9 febbraio. A guidare la rosa dei grandi favoriti è “Joker” di Todd Phillips, che vanta ben 11 candidature; tengono il passo subito dopo, con 10 nomination, Martin Scorsese con “The Irishman”, Quentin Tarantino con “C’era una volta a… Hollywood” e Sam Mendes con “1917”. Da Hollywood all’Italia, anche nelle uscite al cinema risuona l’eco degli Oscar. Dal 16 gennaio infatti in sala troviamo: il dramma di impegno civile firmato Clint Eastwood, “Richard Jewell”, vibrante racconto su un errore giudiziario ai danni di un innocente, con Kathy Bates in corsa per la statuetta come attrice non protagonista; la commedia nera dai rivolti educational “Jojo Rabbit” di Taika Waititi, con 6 nomination agli Oscar, racconto della Seconda guerra mondiale e della ferocia del nazismo attraverso lo sguardo surreale di un bambino. Il punto dell’Agenzia Sir e della Commissione nazionale valutazione film Cei.
“Richard Jewell”
Compirà 90 anni il prossimo 31 maggio Clint Eastwood, ma vanta a oggi una vis poetico-narrativa ancora fulgida e ben agganciata alla realtà. Nel corso della sua lunga carriera ha alternato ruoli davanti e dietro la macchina da presa, affermandosi come interprete acuto e vigoroso nonché come autore dallo sguardo raffinato. Tra i 40 titoli come regista, si ricordano principalmente racconti tratteggiati con forte realismo: “Un mondo perfetto” (1993), “I ponti di Madison County” (1995), “Mystic River” (2003), “Million Dollar Baby” (2004), “Gran Torino” (2008) e “Sully” (2016). Esce ora al cinema “Richard Jewell”, ispirato a una drammatica storia vera che prende le mosse da un articolo pubblicato sulla rivista “Vanity Fair” a firma di Marie Brenner, “American Nightmare. The Ballad of Richard Jewell”. Eastwood e lo sceneggiatore Billy Ray (già nominato all’Oscar per il copione di “Captain Phillips”) raccontano la storia di un uomo qualunque vittima di un errore giudiziario-mediatico.
La storia: ad Atalanta, durante lo svolgimento dei Giochi olimpici del 1996, Richard Jewell (Paul Walter Hauser) è un trentenne che lavora nel servizio di sicurezza di eventi pubblici nella città. La sera del 27 luglio 1996, al Centennial Olympic Park, durante un concerto, Richard scopre uno zaino abbandonato sotto una panchina; preoccupato, si attiva per allarmare i colleghi e la polizia, invitando a una rapida evacuazione. Dopo un momento di scetticismo iniziale e persino di derisione, alla fine Richard la spunta e ottiene lo sgombero del luogo. Purtroppo la bomba esplode, uccidendo una persona e ferendone oltre un centinaio. Grazie all’intervento di Richard, però, si è evitata la carneficina. Subito i media si accorgono della sua prodezza: Richard finisce, con non poco imbarazzo, sotto i riflettori, incoronato come eroe nazionale. Un attimo dopo, però, tutto vira nella direzione opposta; mossi dall’urgenza di individuare un colpevole, FBI e media mettono sul banco degli imputati proprio Richard, con l’accusa di essere un attentatore. Il giovane si ritrova dunque solo, perseguitato, difeso unicamente dalla madre Bobi (Kathy Bates) e dall’avvocato disilluso Watson Bryant (Sam Rockwell).
Con “Richard Jewell” Clint Eastwood ci regala un altro magistrale racconto di impegno civile, uno sguardo sulla periferia americana che si distingue per tenacia e valore nonostante le crescenti difficoltà. In linea con gli altri ritratti di eroi del quotidiano firmati da Eastwood, dal veterano Walt Kowalski al pilota Chesley Sullenberger, il film “Richard Jewell” è espressione di quelle piccole storie esemplari in un’America che si scopre sempre più incerta e sotto pressione. È un film duro e vibrante, denso di indignazione per le inaccettabili le falle nel sistema della giustizia o per la spregiudicatezza dei media. Un racconto intenso, grintoso, capace anche di sposare la dimensione della poesia. A ben vedere, in questo Eastwood è superlativo, perché riesce con eleganza a unire quasi sempre sguardo realistico a sfumature di sentimento. Seppure non sia tutto perfetto, il film possiede un chiaro valore sociale ed educativo e dal punto di vista pastorale è da considerare consigliabile, problematico e per dibattiti.
“Jojo Rabbit”
È una delle sorprese agli Oscar di quest’anno, in cosa per 6 categorie tra cui miglior film, sceneggiatura e attrice non protagonista Scarlett Johansson. Parliamo della commedia pungente con black humor e pennellate educational “Jojo Rabbit”, scritto, diretto e interpretato da Taika Waititi, prendendo le mosse dal romanzo “Come semi d’autunno” di Christine Leunens. Siamo nella Germania nazista e Jojo (Roman Griffin Davis) è un bambino di 10 anni intriso di ideali del regime; in più ha un amico immaginario che ha la fisionomia di Hitler (lo stesso Taika Waititi). La vita di Jojo cambia quando scopre che la madre Rosie (Scarlett Johansson) nasconde in casa una ragazza ebrea. Le sue “convinzioni” si sgretolano, avvertendo il retrogusto amaro della guerra e della Shoah.
“Jojo Rabbit” si presenta come un romanzo di formazione tenendo sullo sfondo gli orrori della guerra; la figura di Jojo fa esperienza del male e del dolore, anche se il racconto si muovo con una cifra ironico-sarcastica, ma non per questo il film manca di profondità. Al contrario, forse questo stile narrativo giocato sull’eccessivo, sull’umorismo nero, può rappresentare una chiave comunicativa-divulgativa sui temi della memoria sulla scia degli ormai classici “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni o “Train de vie” (1998) di Radu Mihăileanu. Dal punto di vista pastorale “Jojo Rabbit” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.