Il livello di allerta è ancora 4, continuano le scosse, non cessa la pioggia di cenere e sassi e in tutta l’area manca acqua ed elettricità. Siamo nell’arcipelago filippino, a 65 chilometri a sud della capitale Manila. Tagaytay, una delle principali città che si trova ai piedi del vulcano Taal, è deserta. Anche le poche persone che erano rimaste, sono state fatte evacuare oggi. L’Istituto filippino di vulcanologia e sismologia ritiene infatti ancora imminente il rischio di una “eruzione pericolosa”. A fare il punto della situazione da Manila è Delia Dalisay, corresponsabile del Movimento dei Focolari nelle Filippine. È proprio a Tagaytay che i Focolari hanno la cittadella “Pace”. La “Mariapoli” conta una popolazione di 250 persone. Sono andati via tutti l’altro ieri sera ma oggi un gruppo è tornato per verificare la situazione, chiudere le case, controllare lo stato delle famiglie ancora sul posto.
“Alcuni di noi stanno distribuendo cibo e acqua per i bisognosi. Stiamo studiando come ospitare gli sfollati. Il governo sta incoraggiando tutti a trasferirsi altrove per motivi di sicurezza. Per noi, finora tutto bene, ma non c’è né elettricità né acqua ed è difficile comunicare”. Le immagini scattate riportano un panorama disastrato: tutto è totalmente ricoperto di cenere grigia. Secondo le agenzie governative, nell’area intorno al vulcano Taal, sono già tutti morti gli animali e le piante.
Almeno 15mila persone sono fuggite dai territori vicini al vulcano e nella provincia di Batangas sono stati predisposti i principali centri di evacuazione. “L’allerta è ancora alta”, racconta Delia. “In una delle strade principali che collega un paesino alla città di Tagaytay è apparsa una enorme spaccatura, segno che la lava sta salendo in superficie. A detta degli esperti, questo significa che c’è ancora pericolo di eruzione”. Le persone che sono arrivate a Manila lo hanno fatto perché in città hanno amici e parenti. Ma i centri di evacuazioni sono tutti nella zona limitrofa di Batangas e Cavite anche perché “è pericoloso mettersi in viaggio adesso. Continua infatti a piovere cenere e sassi”, racconta ancora Delia. Che però tiene ad aggiungere anche che “è tipico del popolo filippino attivare subito canali di solidarietà nei momenti più difficili della sua storia quando altre calamità naturali hanno colpito il nostro Paese. Tutto il popolo è coinvolto”.
Anche la Chiesa cattolica ha aperto le porte delle parrocchie e dei seminari per accogliere le persone che sono state evacuate ed ha incoraggiato tutte le comunità ad attivare forme di comunione concreta con chi ne ha bisogno, prevedendo raccolte di cibo, vestiti, lenzuola… Un accorato appello alla preghiera, affinché il vulcano si calmi, arriva dall’arcivescovo Gilbert Garcera, titolare della diocesi di Lipa, situata nella provincia di Batangas. Al momento, la Chiesa locale sta assistendo più di tremila sfollati. La gente ha bisogno di cibo e acqua. Ma anche di maschere per il viso, medicine, coperte, asciugamani, torce elettriche e carburante. “Stiamo davvero assistendo ad una grande manifestazione di solidarietà – prosegue Delia –, ed è davvero commovente vedere come tutti partecipano agli aiuti, anche le persone più semplici e umili. Ognuno cerca di fare la sua parte. C’è addirittura chi ha messo un tavolino sulla strada per distribuire mascherine gratis. Un uomo sulla strada pulisce con la pompa dell’acqua le macchine ricoperte di cenere. Qui a Manila, per esempio, ho visto sulla porta di una trattoria un cartello con su scritto: ‘Chi ha bisogno di un pasto caldo può entrare senza pagare’. È inutile nasconderlo: c’è paura ma si guarda avanti. Si guarda al giorno in cui tutto finirà e si potrà cominciare a ricostruire”.