“Tra gli abitanti di Erbil c’è molta tensione dopo gli attacchi missilistici della scorsa notte contro basi militari Usa. Adesso la paura più grande è quella di non sapere cosa accadrà. Quali potranno essere le conseguenze. È una paura che blocca”. Così padre Paolo Mekko, parroco caldeo di Karamles, uno dei tanti villaggi cristiani della Piana di Ninive, racconta al Sir lo stato d’animo degli abitanti di Erbil, in particolare della comunità cristiana con cui, afferma, “sono in contatto continuo”.
A Erbil, infatti, ci sono ancora numerosi cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive, dopo l’invasione del 2014 ad opera dello Stato Islamico, che aspettano di tornare alle proprie case distrutte per ricostruirle. “Il sentimento più diffuso tra la gente in queste ore è che l’Iraq non deve diventare un campo battaglia per Usa e Iran. Ci troviamo un’altra guerra in casa che nessuno vuole. Gli iracheni stanno manifestando in piazza da ottobre per invocare riforme e cambiamenti, la fine della corruzione, migliori condizioni di vita e rispetto dei diritti. Questo vogliono gli iracheni non più guerre sulla loro pelle”. Proteste che, secondo il sacerdote caldeo, “non sono destinate a fermarsi anzi aumenteranno una volta che questa tensione diminuirà. Il popolo sa bene cosa vuole, di certo non la guerra”. E soprattutto “non vuole che gli Usa replichino le sanzioni contro l’Iraq, sarebbe per noi un colpo mortale. Questa è una grande paura per tutti gli iracheni che rimarrebbero schiacciati tra gli interessi di Usa e Iran”. Lo scorso 6 gennaio, durante la messa dell’Epifania celebrata nella cattedrale di San Giuseppe a Baghdad, il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako aveva invocato “saggezza per evitare l’eruzione del vulcano in procinto di esplodere a causa della sconvolgente escalation, delle decisioni emotive e impulsive, della mancanza di senso di responsabilità”. Ad alimentare questo vulcano, sono state le parole del patriarca, “saranno le persone innocenti”.