Is 9, 1-6; Sal 95; Tt 2, 11-14; Lc 2, 1-14
L’evangelista Luca, come un regista cinematografico, fa una zoomata: dalla panoramica su “tutta la terra”, restringe l’obiettivo sul Medio Oriente (Siria), poi sulla Palestina (Galilea e Giudea), infine su Betlemme, raccogliendo fra migliaia di volti i tratti di un uomo e di una donna, Giuseppe e Maria, quasi a condensare la Storia universale nella loro piccola storia familiare. Si intuisce il disagio di questi giovani sposi a causa del viaggio e della mancanza di intimità in cui si trovano. La nascita del bambino avviene nella precarietà: c’era tanta di quella gente in quella “stanza” che Maria dovette adagiare il Bimbo nella mangiatoia degli animali.
All’affannoso movimento di folla si contrappone la statica veglia dei pastori, all’editto imperiale fatto risuonare per tutta la terra risponde il canto degli angeli in cielo, alla confusione di lingue presenti a Betlemme fa da contrasto la silenziosa notte della campagna. Siamo lontani forse solo qualche chilometro dalla piccola borgata di Giudea, molte miglia invece dalla grande Roma … siamo in un altro mondo, quello di chi – letteralmente – non conta nulla. I pastori erano senza fissa dimora, non godevano del diritto di testimonianza, spesso assimilati ai ladri. Eppure, proprio i pastori sono i primi testimoni e annunciatori del mistero della salvezza.
I pastori “furono presi da grande spavento”, perché l’uomo davanti a Dio si scopre piccolo e nudo. La “buona notizia” è il “non abbiate paura” perché Dio si è fatto vicino. La grande gioia annunciata ai pastori “è per tutto il popolo”. La gioia è “grande”, proporzionata alla paura che l’ha preceduta. “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Dio dà dei “segni” all’uomo – così il segno di Caino, il segno del sangue sulle case ebree, l’arcobaleno, la circoncisione – come prova della sua presenza salvifica in mezzo al popolo. Gesù è il segno per eccellenza eppure del tutto familiare (la mangiatoia), a sottolineare che il Messia è proprio il loro re, un re-pastore. Gesù è segno eloquente solo per chi ha fede. E’ lo stesso principio delle parabole: comprende chi crede. Un segno debole. I pastori credono e vedono, divenendo così testimoni oculari e a loro volta “angeli”, annunciatori del mistero. “Maria da parte sua serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Maria, icona dell’attenzione, è la terra fertile che accoglie e custodisce il seme della Parola.
A Natale sono previste tre Messe; quella della notte, dell’aurora e del giorno. Dalla notte al giorno, dalla ricerca alla gioia dell’incontro, fino allo splendore dell’annuncio. Nella notte e all’aurora il Vangelo è di Luca. Dopo la storia di singoli (Zaccaria, Elisabetta, Maria), ora quella di tutti i popoli che devono registrarsi nel luogo della propria origine. Maria e Giuseppe partecipano a questa convocazione, inconsapevoli che la loro storia è unica perché riguarda la nascita del Figlio di Dio. Nel grembo di Maria, Gesù compie il viaggio che lo porterà alla Pasqua per la salvezza del mondo: da Nazaret a Betlemme. Viene registrato insieme agli altri, ma è il Primogenito della nuova creazione e dei risorti dai morti.
Alla messa del giorno il Vangelo è il Prologo di Giovanni, un inno che contiene il seme di tutto lo sviluppo: Gesù inviato del Padre, sorgente di vita, luce del mondo, pieno di grazia e di verità, Unigenito nel quale si rivela la gloria del Padre. Gesù è la Sapienza di Dio, la sua Parola ultima che ha creato il mondo e che lo divide in tenebre e luce (dove c’è lui). Alla fine la luce avrà la meglio, ma prima conoscerà il rifiuto e la chiusura, perché noi preferiamo l’oscurità. La luce non s’impone.
“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. È il culmine del prologo; parole che oggi ascolteremo in ginocchio, stupiti di fronte a Dio che per amore si spoglia della sua gloria e prende la nostra carne, diviene uno di noi. Il momento più alto della gloria tonerà sulla croce del Figlio. In quella, il Padre dirà tutto, di sé e di noi.
“Sei tu colui che viene o attendiamo un altro?”, si chiese madre Teresa di Calcutta, guardando quelli che affollavano la sua casa: ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, poveri, moribondi. “Si, sei proprio tu colui che viene”.