Gen 15,1-6; 21,1-3; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40
I genitori di Gesù sono fedeli alla Torah e l’osservano, lo dimostra il portare il piccolo Gesù, loro primogenito, al Tempio perché venga riscattato. Egli che darà in riscatto la vita per tutti, ubbidisce ed accetta nel mistero più incomprensibile per noi.
Usanza di costume? Oppure assunzione profonda dalla storia del cammino del popolo d’Israele?
La loro offerta è quella dei poveri: due piccioni, in netto contrasto con la ricchezza, non apparente ma reale, di cui erano consapevoli di essere portatori.
La cerimonia possiede un significato profondo: Egli, il Salvatore, entra nel Tempio.
Leggiamo infatti in Es 13, 12: “Come sta scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio, che apre il grembo materno, sarà chiamato santo al Signore”.
Egli, neonato, appartiene al Santo.
La sorpresa di Maria e di Giuseppe è grande quando scoprono che il bambino è atteso. Il popolo dell’alleanza è sempre teso nell’attesa del Messia per la salvezza che porterà, Simeone e Anna riconoscono il momento dell’incontro.
Simeone, che significa “Egli ha ascoltato”, è l’uomo dello Spirito che gli viene incontro nella parte esterna del Tempio. Legge e profeti accolgono il Signore ed egli lo benedice.
In un abbraccio, dal valore simbolico di ruolo di riconoscimento, tutta la storia secolare dell’attesa di Israele si riversa sul neonato e da qui sgorga la grande novità, la luce, donata a Israele, può espandersi su tutte le nazioni, sui popoli pagani.
Anna che, come dice il suo nome, è colei che ha ricevuto grazia, figlia di Fanuel (volto di Dio), della tribù di Aser – piccola e povera ma che significa fortunata- richiama le grandi figure bibliche delle profetesse Miriam, Debora, Culda.
Eppure, in questa sfolgorante luce si introduce un punto negativo, il neonato avrà un futuro di contraddizione: richiama quella pietra d’inciampo che però poi diverrà testata d’angolo.
È lo spaccato esatto di quanto constatiamo ogni giorno: la Luce che ci viene donata convive con le tenebre e ci è chiesto di rimanere in attesa e di saper distinguere e optare.
La Madre condividerà il destino del Figlio, tutto quanto viene pensato infatti sarà reso palese. Si tratta effettivamente dei pensieri cattivi, negativi, perché il termine greco nel Primo Testamento è gravato di questa sfumatura. Non soltanto di quel fluttuare mentale che tenta di darsi ragione, di comprendere.
Il bambino crescerà a Nazareth e sarà chiamato nazareno, le sue caratteristiche sapienza, cioè intelligenza spirituale, e grazia sono appunto quelle che caratterizzano il Messia.
La condivisione di Maria, la madre di Gesù, non sarà temporanea o superficiale, “una spada trafiggerà l’anima” afferma il testo evangelico, quindi tutta la sua vita ne verrà trapassata, scossa.
Per questo ci è sorella nella fede perché non adagiata nel ricordo di un’accoglienza luminosa che prelude grandi eventi per il figlio ma viva in un’attesa che richiede somma vigilanza per poter sempre individuare l’intervento dell’Altissimo e accoglierlo.